venerdì 23 settembre 2016

Il pubblico e il privato nella guerra all'integrazione

Io sono figlia di cattolici, in parte di destra e di migrazione sud-italiana, cresciuta in un paesino a due passi dalla città ma sostanzialmente abbastanza autosufficiente da non averne bisogno.
Paesino che, alla don Camillo maniera aveva la chiesa e il centro sociale "comunista" delle vecchie guardie, ovviamente io ero della parrocchia (già.).
Anni in un posto così eppure ora sono agnostica (forse atea), femminista, antifascista, ecc...qui a parlare di temi che a mio padre farebbero drizzare i peli del braccio, che il mio parroco fosse ancora vivo sparlerebbe di me con tutto il paese, che poi andrebbe dai miei genitori a dire che sono uscita un po' male, poi loro probabilmente valuterebbero la cosa perchè non sono stupidi.
Essì perchè ignoranza e stupidità sono ancora due concetti divisi.

Questo preambolo per dire che oltre a me tanta gente non nasce nel posto con le condizioni di apertura mentale  e super stimoli migliori ne la famiglia più aperta del mondo, a volte anche a causa di culture che non sono nemmeno del posto ma questo non significa che non cambierà idea sulle cose anche più volte nella vita.

Quando ho letto delle leggi sull'eliminazione del burkini in spiaggia in francia, (sì sì è notizia vecchia ma il concetto che vorrei affrontare è più generale) ho pensato che fosse un'accanimento pesante, che in fondo a me che una si vesta da capo a piedi in spiaggia non cambia affatto la vita, al massimo mi incuriosisce e forse se capita l'occasione mi verrebbe voglia di conoscerla per capirla meglio. Certo si parla di una questione che la Francia ha molto a cuore cioè la laicizzazione del pubblico in questo universo idealistico Hobbesiano nettamente diviso tra privato e pubblico, come se la nostra spiritualià, il nostro pensiero o le conseguenze delle nostre azioni domestiche (vedi la violenza domestica) dovesse magicamente adombrarsi e annullarsi fuori di casa.
E ho pensato come tanti, che alla fine parlare di laicizzazione dell'abbigliamento può essere una violenza nel momento in cui l'abbigliamento è parte della stessa spiritualità della persona, ne rappresenta qualcosa di inscindibile.
Nell'islam come spesso succede nelle religioni monoteiste, la donna è in particolare oggetto di un abbigliamento specifico che tenta di coprirla, è una limitazione? Sì. Dovremmo proibirla in quanto stato laico? No.
Innanzitutto perchè in modo molto semplice e utilitaristico una forzatura del genere crea un divario ancora più marcato tra le due culture, islamica e occidentale, sappiamo che l'ISIS stesso campa di questa fantastica frattura che in particolare investe la seconda generazione di migranti, vedi i figli delle banlieues.


Che c'entra? Bè c'entra eccome. La prima generazione sconvolge se stessa con un obiettivo molto forte, che è quello di sopravvivere o di vivere meglio, ha ben chiare le proprie radici, ha ben chiari i motivi per i quali andarsene, per i quali lo sforzo di restare in un posto diverso e anche non accogliente è giusto e il proprio termine di paragone, il prima della migrazione, rende il posto di arrivo comunque un'alternativa migliore anche se a noi, che come termine di paragone abbiamo spesso qualcosa di più agiato, non sembra affatto possibile.
La seconda generazione però, cresce qui, il suo paragone sono i suoi coetanei, occidentali e non, hanno tutt'altro livello di stimoli, aspettative, e una cultura confusa che prende parte da quella occidentale e parte da quella islamica.
Persone giovani, che crescono senza un buon tessuto sociale di integrazione nella nuova cultura, rimangono sacche isolate che si attaccano l'un l'altro confermandosi reciprocamente dubbi e concetti anche vecchi, senza rielaborarli in quanto propri e identitari, attaccandosi a un ideale di origine che non gli appartiene mai del tutto ma che almeno possono immaginarsi più aderente a sè che non quello che palesemente li sta rifiutando, la classica nostalgia delle epoche mai vissute (vedi i simpatizzanti del fascismo moderni). Banalmente, è facile poi riunirsi tra chi la pensa così piuttosto che tra chi non può capire, e l'integrazione si  chiude, si fa frustrazione, faida e rottura con la società di arrivo, è una Stasis che non vogliamo vedere perchè i responsabili del tumulto ci sembrano esterni ma non lo sono più, solo sono rimasti a metà nel processo che avrebbe dovuto metterli in conversazione, diversità accluse, con quello che era il mondo circostante, economicamente uguale e non.
Se a questo aggiungiamo un'imposizione dall'alto che tutto sommato non servirebbe nemmeno, la frustrazione, la rottura, si trasforma in odio, in arroccamento alle proprie tradizioni e origini che, una volta martirizzate dallo stato per di più in modo gerarchico, non verranno più messe in discussione se non addirittura estremizzate.

Torniamo al burkini, che non solo è spesso scelto in quanto parte della cultura di chi è di fede islamica, ma è anche un modo per le donne immigrate e fedeli alla propria religione di poter uscire di casa senza un controllo maschile, con il burkini puoi andare in spiaggia, senza no.

Ok, quindi cosa raggiungiamo eliminandolo? Che le donne che normalmente ci andavano in burkini, semplicemente in spiaggia non ci andranno più. E la colpa sarà di chi glielo ha direttamente impedito che è il passaggio più ovvio e più facile. Il rancore di chi si sente spogliato di quel poco di sè che gli resta di intimo e proprio (a cui ci si aggrapperebbe anche se fosse sbagliato una volta che "lo straniero" ti impone di eliminarlo) e la clausura di chi non ha ancora la cultura o il confronto o la forza o l'autodeterminazione di se per farne a meno e svolgere una vita quotidiana senza troppe limitazioni, poi vai a beccarle quelle anime silenziose rinchiuse nel privato di casa, vai a integrarlo un popolo che in parte nemmeno vedi più e che non dialoga più con il resto della società, cresce così i suoi figli nel rancore e nell'isolamento e quel popolo è in realtà la società stessa, una sua parte come minimo.

Se io sono cambiata, tanti di voi lo sono, se tanti cambieranno è perchè hanno avuto la possibilità di raggiungere degli stimoli, dei punti di vista diversi dai propri, delle persone che hanno portato un esempio positivo, una conversazione valida, attraverso spunti, dialoghi, persone. L'integrazione nasce dal dialogo, dal ridurre il divario sociale (non me la prenderò mai abbastanza con cose oscene come il progetto del quartiere Navile a Bologna, che va contro ogni logica costruendo palazzi di lusso nel pieno di un quartiere multietnico e sicuramente non tra i più ricchi della città come uno schiaffo in faccia e un muro tra chi può e chi no) e favorire le realtà che producono conversazione, discussione e dubbi su cosa è giusto per l'essere umano, per se stessi e cosa è imposto.

Date alle donne, ai ragazzi, agli uomini, gli strumenti per conversare, per interagire e per valutare quello che possono essere, se non lo fate per loro o per chi ci vive a tu per tu, fatelo per voi stessi che non volete altro odio e potreste scoprire qualcuno di nuovo.
L'odio non nasce da solo, non è qualcosa di intrinseco in certi esseri umani, è solo il visibile di un processo, creato da persone che possono anche non arrivare a quelle conclusioni.
Lo stato, il pubblico, crei le migliori condizioni per favorire i processi positivi e molto più difficilmente avrà bisogno di imporre qualcosa di così stupido.

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