venerdì 21 luglio 2017

Imbarazzismi di genere negli spot - Scivoloni o finestre sul tema?

Quando parliamo di pubblicità, il tema sessismo fa subito capolino, oggi parliamo di trattamento di donne negli spot e non solo, partiamo da un'analisi dei ruoli tipici per arrivare a quelli che sono quei momenti di seccante imbarazzo, quegli scivoloni poco piacevoli di quando una pubblicità viene vista come sessista, si scatena il web e l'azienda deve fare le solite scuse e una poderosa marcia indietro.

Ma partiamo dai ruoli delle donne in pubblicità, versione 2.0, quali sono? (non li analizzeremo tutti, ma quelli più dannosi)




La mamma è senz'altro il primo archetipo, la mamma è divisa in due grandi filoni, uno è la mamma focolare della casa, ormai piuttosto fuori moda e poco presente, l'altro, più moderno è la mamma iperattiva e tonica, più plasmata sui ritmi moderni. Si caratterizza per essere particolarmente giovane, molto in forma e con un abbigliamento neutro, non sessualizzato, scarpe comode, jeans/pantaloni, camicia/maglia poco scollata e preferibilmente a maniche lunghe, i capelli sono "sotto controllo", in un velo virtuale, ovvero non si muovono, non sono ondosi, non sono scomposti ma vanno dal corto al molto riccio al molto liscio o fermati. La mamma iperattiva è raccontata come la responsabile della casa, dei figli e dell'igiene, infatti è normalmente il testimonial di tutto ciò che riguarda la salute dei bambini, l'igiene della casa, la cura. è la supermamma che lavora, ha poco tempo ma è attiva, in forma, giovane e furba, ce la fa grazie ai prodotti venduti. L'esempio più evidente è quello della pubblicità della Lysoform.

La donna oggetto, non ci giro tanto intorno, questo tipo di testimonial è presente in vari modi più o meno espliciti per essere l'oggetto del desiderio dello spettatore o del protagonista dello spot. A volte viene utilizzata una testimonial famosa, per essere più accettabile, infatti possiamo evidenziare che la pubblicità con esplicito desiderio sessuale come incarnazione di prodotto è sempre più difficile da far passare senza critiche, il testimonial, in quanto già incarnazione vivente di sessualità riesce a evitare lo scivolone, e in effetti assistiamo a un aumento dell'uso dei testimonial di fama, in controtendenza rispetto agli anni precedenti. Un esempio di questo tipo di caratterizzazione è la pubblicità della Schwepps.
La donna oggetto può essere la donna che si rende disponibile al protagonista facendogli compiere azioni buffe, eroiche o di miglioramento tramite i prodotti, o può essere l'implicita ricompensa allo spettatore se utilizzerà il prodotto.

In questo caso abbiamo la cosiddetta "magnifica ricompensa" ovvero la donna che in quanto sessualmente attraente è oggettificata come ricompensa del protagonista/spettatore per aver acquistato il prodotto o per aver compiuto azioni eroiche o degne di nota. Troviamo questo esempio nello spot Algida, quello del cornetto che sviluppa la propria immagine già da alcuni anni su una narrazione romantica. L'ultimo spot uscito vede la ragazza come apparentemente la protagonista dell'azione, siamo portati a crederlo perchè è il primo personaggio che vediamo, viene seguito di più dalla camera e inquadrato spesso in primi piani, ma in realtà svolge il ruolo di contatto con il prodotto, se ci pensiamo bene infatti, la ragazza non fa assolutamente nulla tranne essere carina e portare il prodotto. Nella trama, non è che la ricompensa del protagonista che è colui che svolge azioni interessanti per arrivare al prodotto (e alla ragazza). Nella fattispecie il ragazzo, che è uno street artist, colpito dalla ragazza con il cornetto, per conquistarla modifica la propria opera e ne fa un gigantesco ritratto di lei (con il cornetto), e grazie all'azione ottiene la ragazza.

Un altro spot di esempio è sempre Algida, qui la narrazione intorno al gelato è riferita alla socialità, all'amicizia, alle follie estive, alla spensieratezza e al fare qualcosa di energico e divertente. Nello spot vediamo infatti varie sequenze di vita quotidiana e il protagonista è apertamente maschile, compie azioni, soprattutto amichevoli, le ragazze sono presenti come contorno, anche quando si parla di amicizia non sono contemplate se non come intorno dell'azione e supporto del protagonista, ovvero guardano, stanno a fianco ma non compiono l'azione del protagonista e degli amici, sono delle insalate di plastica con il sushi, fanno colore. 
Alla fine dello spot, arriva la magnifica ricompensa, una ragazza con in mano il gelato che balla con il protagonista.
Lo spot di magnifica ricompensa è molto insidioso perchè appunto riesce a bypassare lo stereotipo del sessismo che si identifica di solito con la sessualità evidente, abbassa però la capacità dell'immagine femminile di compiere azioni che non siano essere carina, essere desiderabile, compiere azioni legate al romanticismo e ai rapporti con il ragazzo, supportare il ragazzo nelle sue avventure, e infine essere una ricompensa per la vita del protagonista.
Ho preso l'esempio Algida perchè volenti o nolenti, chi ha fatto gli spot, probabilmente senza volerlo, e senza dubbio mettendoci impegno e casting, ha presentato comunque lo stesso tipo di trama, e lo stesso tipo di caratterizzazione della donna.
Possiamo prendere anche un altro tipo di magnifica ricompensa, ovvero la ricompensa negata. Il protagonista potrebbe avere il prodotto e questo gli procurerebbe l'accesso alla ragazza, ma è un protagonista perdente e quindi qualcuno (con il prodotto) gliela porta via.
La tipologia di ragazza contorno o maginifica ricompensa, sono facilmente riscontrabili nelle pubblicità per giovani, sono dinamiche, richiedono una trama che intrattenga e con azioni spesso creative, si riconoscono per tipo di prodotto venduto, età dei protagonisti. Hanno "protagoniste" femminili apparentemente attive, furbe, sveglie, ma che di fatto in realtà non fanno altro che essere ammiccanti, emotive e carine, la furbizia è correlata unicamente al prodotto e alla capacità di attirare.

Passiamo a la Grechina, un tipo di figura che è stato discusso da Lorella Zanardo, è la donna senza sessualità ma gradevole che fa da contorno e /o veicolo, è il corpo piacevole da guardare per mantenere l'attenzione, lo troviamo di solito per prodotti neutri o servizi finanziari, per tutto ciò che riguarda situazioni spiacevoli, mal di denti, mal di testa, richiesta di un mutuo, ecc... è la suggeritrice o la gradevole soluzione al problema, è una rappresentazione fisica dell'azienda e del prodotto. Assomiglia al ruolo di madre in quanto a mascheramento dei caratteri sessuali, sorriso e vestiario. Un esempio è riscontrabile nello spot della Tantum verde


La ribelle è un altra tipologia femminile molto in voga, particolarmente interessante perchè si pone ad un ulteriore livello strumentale,
è di nuovo la donna che viene presa per ammiccare al consumatore non solo per identificarsi con il prodotto ma spesso, anche per qualificare l'immagine dell'azienda agli occhi delle donne. La ribelle viene sempre posta come l'incarnazione della ribellione agli stereotipi, cosa c'è di criticabile in questo? 
Il criticabile è che nuovamente un corpo (che in ogni caso non esce mai dal dogma dell'essere bello e sessualmente attraente), sempre quello della donna, viene riempito di significati (che in realtà sono per lo più legati solo ad accessori e vestiario) per parlarci di come è giusto o meglio essere donna, attraverso un personaggio che esce simbolicamente da un passato discriminatorio per vendere un prodotto, per ammiccare al consumatore, qualificando l'immagine dell'azienda.
Questo è solo un altro livello di oggettificazione, più amichevole rispetto alla generazione di donne che del modello pubblicitario remissivo e accondiscendente ha in realtà solo una narrazione. 
La tipologia ribelle è caratterizzata per ambientazioni più moderne, lucide, vestiti apparentemente trasgressivi, trucco apparentemente trasgressivo, non va quasi mai oltre ad una diversa rappresentazione del trucco e delle pose, analizzandola possiamo vedere che in realtà non fa molto più delle colleghe, ma lo fa come un distacco dall'opinione altrui. Viene posta, proprio in mancanza di una effettiva azione o caratterizzazione oltre il look, in antitesi al modello sensuale o madre o grechina, di cui vengono esacerbate le caratteristiche che sfociano normalmente nello snobismo, stupidità, futilità, in qualche modo riconfermata come tipica della donna.
E si torna al messaggio standard del "non è come le altre", di fatto rendendo un eccezione allo standard del mondo femminile che è noioso e futile, la ribelle e giudicando in ogni caso le altre donne, sempre ben categorizzabili e leggibili in classi standard, di fatto non umane ma pura narrazione semplificata. 
Un esempio è lo spot dell'Opel corsa

Quello che diventa evidente se includiamo questo ulteriore ruolo nei tanti personaggi femminili che compongono l'oggettificazione pubblicitaria, è che il corpo della donna negli spot non è mai un elemento neutro, la donna negli spot non è mai interamente una persona in quanto tale, come è invece per i ruoli maschili, ma è sempre e comunque un corpo gradevole veicolatore di messaggi e simboli molto specifici, soprattutto legati all'intero mondo femminile e non solo alla storia nello spot.

Nell'ambito bambini, la questione è più semplice, i bambini, soprattutto negli spot televisivi sono accuratamente non sessualizzati, troviamo però a fasce di età diverse, diversi modi di rappresentarli.
Quando sono molto piccoli, le bambine e i bambini se non sono neutri, possono essere caratterizzati di potenzialità culturali, un emblema è lo spot della Huggies che peraltro ha fatto molto discutere, la bambina attira il bambino, è carina, farà cose carine, il bambino ha un insieme di potenzialità culturali legate all'azione. Oltre a questo però, non abbiamo grosse distinzioni tra maschio e femmina nel mondo prescolare.

Quando si parla di bambine in età scolare invece, la questione già cambia, il ruolo della bambina è legato alla decorazione di sè e al giocare al piacere agli altri, anche se in modo non apertamente sessuale. Le pubblicità che coinvolgono bambine in età scolare presentano bambine molto accessoriate, spesso leggermente truccate, con acconciature elaborate (trecce, codini) e molti ninnoli. Nelle bambine in età scolare entriamo poi nel discorso (che non voglio ampliare troppo qui), dei prodotti proposti a loro, che includono per lo più bambole estremizzate in questo senso o prodotti volti proprio al truccarsi, vestirsi, agghindarsi, farsi belle, piacere.
Ovviamente in generale sui bambini troviamo una maggiore varietà di ruoli, salvo eccessi eclatanti di sessualizzazione  o in generale nelle campagne di abbigliamento che presentano frequentemente il fenomeno di adultizzazione.
Difficilmente troviamo pubblicità apertamente sessualizzate e molto stereotipate, proprio a causa del fatto che i bambini ancora non rientrano appieno nella categorizzazione culturale di genere.
Però possiamo notare che è sempre molto difficoltoso per i pubblicitari presentare ruoli diversi dall'insieme di significati legati al genere a cui i bambini appartengono. 
Se ci facciamo caso, possiamo osservare che i personaggi infantili femminili che escono apertamente dallo standard, si presentano faticosi, finti, esagerati o creati appositamente per esaltare il non sessismo dell'azienda.
Un esempio è lo spot di Lufthansa dove la bambina per poter essere una bambina tecnicamente preparata, è agghindata molto (fermagli, accessori, enormi occhiali) ma viene esagerata nella sua intelligenza fino ad essere la macchietta del secchione, antipatica, fredda, con un robot come pupazzo, di fatto per fare una bambina intelligente la si è dovuta stereotipare o esagerare anche in uno spot dove i toni non sono quelli del comico e non sarebbe stato affatto necessario.

Se prendiamo le preadolescenti / adolescenti, lì il discorso diventa molto piatto, se escludiamo il grande bacino delle pubblicità con i giovani come il futuro (dove rientrano indiscriminatamente maschi e femmine), l'adolescente è presente negli spot solo in modo apertamente sessualizzato, è presente come magnifica ricompensa o per rivolgersi ad altre adolescenti e passa costantemente il messaggio dell'acquisto del prodotto come strumento per essere attraenti e desiderabili, con pochissime fuoriuscite dai ruoli già dedidicati alla donna.

Quello che voglio dire presentando questi personaggi però, non è che la pubblicità sia cattiva, perchè la pubblicità in realtà è fatta per rendere un prodotto appetibile per il consumatore, non per promuovere messaggi sociali.
Le aziende non sono amiche dei consumatori, anche se si travestono come tali, le aziende hanno un obiettivo molto semplice che si manifesta con gli spot, e cioè vendere un prodotto o servizio, e per farlo deve farsi piacere e far piacere il prodotto, soprattutto poi, deve far identificare il prodotto con una serie di simboli, altrimenti rischia di non essere acquistato. Infatti la concorrenza tra prodotti praticamente identici si risolve nell'accezione simbolica di cui si riveste ogni prodotto, un prodotto funziona meglio se è stato identificato per la ribelle invece che per la mamma, anche se di fatto lo utilizzerebbero (e probabilmente lo fanno) tutte e due le tipologie.
Per quanto mi riguarda, la confusione che crea questo avvicinamento amicale delle aziende ai consumatori e la loro fusione con valori e simboli, è visibile in modo emblematico nel marchio Vitasnella, che dopo altri marchi, alcuni anni fa, intraprese la strada del body positive per la propria immagine, con quello che è stato applaudito nei commenti social come un grande spot e cambio di linea, e che in realtà è fin troppo palesemente solo un impacciato cambiamento di pelle di una sostanza che è sempre la stessa.
Infatti parliamo di un brand che innanzitutto si chiama Vita - snella, e che vende prodotti dietetici o coadiuvanti del dimagrimento, per quanto possa esprimere attraverso gli spot concetti sul body positive, l'obiettivo è bypassare un periodo di magra per chi vende prodotti dimagranti presentando il dimagrimento come un desiderabile punto di arrivo per le donne e viene accusato implicitamente di body shaming.
L'azienda non è ne promotore di messaggi propri, ne amica, è un'azienda, e il suo obiettivo principale è vendere i propri prodotti a una clientela che cambia ma che di fatto resta il suo target.
Quando parliamo di pubblicità sessiste parliamo quindi di rappresentazioni di realtà esistenti che le aziende usano per essere più vicine al proprio target, per farsi voler bene e quindi vendere, non sono ne cattive ne buone, sono interessate.
Allora si apre un altro tema, le scuse post pubblicità sessiste, che avvengono ogni giorno, scivoloni del reparto comunicazione che non hanno ammiccato bene al bacino di utenza e sono state sostanzialmente troppo esplicite, come la pubblicità della de Agostini  o quella della Bic, o più di recente la pubblicità dell'Audi in Cina.

Non è un caso poi che, se escludiamo le pubblicità di moda, sono più spesso quelle fatte fatte da studi pubblicitari meno rinomati o meno illustri, o le cosiddette pubblicità fai da te, se ne escano spesso con immagini e giochi di parole apertamente molto sessisti e molto sessualizzati. Paradossalmente sono più onesti, infatti non hanno il livello di consapevolezza del politically correct per distinguere che un messaggio implicito che funziona non lo si può dire ad alta voce, gli stessi messaggi si possono dire in modo più raffinato e attraverso ruoli oggettificati più accettabili perchè più vicini alla realtà come forma.
La pubblicità rappresenta la realtà, o meglio una sua narrazione semplificata, e la realtà è che un prodotto vende di più se di fianco c'è qualcosa di attraente o se lo si caricano di valori, la verità è anche che le donne sono più ascoltate se sono belle, più interessanti se sono belle, e se non sono belle contano molto meno, ottengono molto meno, sono spesso viste in relazione all'amore, alla famiglia e all'uomo molto più che rispetto alle proprie caratteristiche individuali o le loro capacità, sono molto più vessate se il loro corpo non rispecchia ciò che dovrebbe essere, (e questo vale in particolare quando si parla di religione, buon costume, buon gusto, tutti concetti applicabili all'estetica che difficilmente si applicano al corpo dell'uomo) e cioè disponibile, attraente e semplificabile in categorie (come avviene anche per gli "esterni" come ho spiegato in un altro articolo che trovate qui). 
La pubblicità non è il cattivo, è solo uno specchio molto grande in cui tutto questo diventa evidente.
Per qualche dato, vi linko una interessante ricerca sulle rappresentazioni di genere nelle pubblicità svolta dall'Università di Bologna.
Chiudendo infine con la pubblicità dell'Audi, possiamo farne una breve analisi e dire che in tutta onestà non era nemmeno una pubblicità davvero sessista. Mi spiego, l'azienda ha giocato sul rapporto tra parenti e sposi dei figli, la pubblicità poteva benissimo essere fatta anche al contrario da padre o madre della sposa verso il suo nuovo marito, e non sarebbe cambiato assolutamente nulla. L'oggettificazione reale della donna in quanto donna, non ci sarebbe stata, la pubblicità avrebbe fatto sorridere, o anche no e nessuno l'avrebbe criticata. è vero la donna viene paragonata a un oggetto, ma non in quanto donna, in quanto persona che passerà la vita con il figlio, sarebbe valso al contrario. L'azienda è stata poco furba esponendosi a una serie di critiche evitabili facilmente facendo lo spot al contrario ma non si è comportata in modo sessista.
Quando parliamo di oggettificazione bisogna anche non cadere nel tranello facile del "qualsiasi riferimento o paragone donna/ sesso o donna/oggetto è sessismo", il più delle volte l'esplicito è meno pericoloso di quello che ci passa sotto il naso.
Un altro esempio di questi scivoloni interpretativi, questa volta dal gruppo Non una di Meno di Mantova, a mio avviso, è quello sul manifesto di intimissimi, viene criticata la posa sexy e un po' vacua della modella, non una di meno ci si è pesantemente scagliata contro.
Ma stiamo parlando di intimo femminile, non è oggettificazione se il prodotto è effettivamente un prodotto femminile e sensuale, e che per essere rappresentato indossato va portato da seminudi, così come si potrebbe rappresentarlo con una donna normale, non è nemmeno sbagliato rappresentarlo con una donna molto bella, su cui il prodotto probabilmente ha un effetto migliore e invita quindi maggiormente a essere provato. Inoltre non mi aspetto che una pubblicità di intimo rappresenti la donna, mi aspetto che faccia vedere dell'intimo e non mi stupisco se in quanto intimo ci sia anche una certa sensualità dietro, di certo mi darebbe molto più fastidio pensare che sia compito di una pubblicità di intimo, il carico di rappresentare la complessità del mondo femminile, o debba farmi vedere che ehi anche le donne sono intelligenti.
Non è il compito di un cartellone che cerca di vendermi un paio di mutande di pizzo.
Se proprio dobbiamo prendercela con Intimissimi, prendiamocela per quando ha utilizzato una donna pure per vendere mutande maschili, ma ancora di più prendiamocela con quegli uomini che ancora comprano solo se ci sono un paio di tette dietro.

(molte delle illustrazioni sono state raccolte da internet e sono di Paola Bonet ; qui il profilo Pinterest)



martedì 11 luglio 2017

Sancire i confini - di Ordinanze estive, Alcol, Street Art e Socialità

E' ufficialmente estate.
Non perchè è passato il 21 Giugno, non perchè si stanno accorciando le giornate o perchè è così caldo che le scarpe iniziano a lasciare tracce di se sull'asfalto (o l'asfalto scadente inizia a lasciare tracce di se sulle scarpe).
E' estate perchè fiotte di ordinanze su alcol e musica hanno iniziato a piovere sulle grandi città peggio di un flagello di cavallette.
E' estate perchè al contempo i comuni si accordano con associazioni ed esercenti per creare eventi gratuiti o a pagamento, che di fatto sono oasi alcoliche culturali, ovvero in cui tutto quello che le ordinanze hanno vietato nei luoghi apertamente pubblici e scelti dalla stessa popolazione, quali le piazze, è invece concesso e anzi sospinto.

Torino, Roma e Bologna sono tre casi emblematici (ma non gli unici).


Torino, la sindaca Appendino ha prodotto un'ordinanza anti alcol nelle zone dove i decibel erano più elevati e allo stesso tempo relativi alle zone residenziali. 
Ovvero alcol = rumore = ordinanza.
In un clima italiano che vede porre l'ordine pubblico sempre più in relazione ad un problema di sicurezza anche quando si sta parlando di chiasso notturno (quindi possiamo dire, più in termini mediatici che reali), la polizia ha iniziato ad assumere un ruolo di "controllore" dell'ordine pubblico, sempre più rilevante e in qualche modo sempre più autorizzato ad agire su azioni di tipo civile, con manovre che sarebbero legate al rischio e alla sicurezza. 
Quindi più facilmente violente, meno orientate alla mediazione e in una parola, spropositate.
Su Torino in particolare si è arrivati quindi ad una serie di proteste sfociate in un'unica serata, dove "20 ragazzi dei centri sociali e tutti quelli della movida" hanno iniziato a protestare e prendere in giro i poliziotti che si aggiravano tra i dehors. 
Già la costruzione della notizia, dovrebbe farci capire che chi scrive cerca di imputare colpe a un gruppo specifico, limitando i danni "collaterali" delle cariche, dandoci informazioni che possano darci dei collegamenti mentali allo stereotipo polizia vs centri sociali, di fatto invece chi ha protestato, e qui è da sottolineare protestato a voce, erano banalmente i presenti nei locali e nei dehors, per darvi un'idea di come questa notizia sia riportata, immaginate che ve la si racconti così: 20 immigrati e gli altri presenti, o anche 20 marchigiani e gli altri presenti. Il vostro cervello è fatto per registrare le informazioni salienti e se gli si da un gruppo specifico quello assocerà informazioni al gruppo specifico e non a tutti i presenti. 
Quello che è successo dopo, ossia dopo le prese in giro, è stato un arrivo massivo di polizia in assetto antisommossa che ha distrutto tavoli e picchiato con manganellate chiunque si trovasse nell'area. La polizia, vorrei ricordare, non è una specie di macchina ma un insieme di esseri umani senzienti che dovrebbe proteggere l'ordine pubblico e che in nome dell'ordinanza è stata utilizzata come una macchina cieca e violenta su civili perchè di fatto, bevevano una birra all'aperto, picchiando persone anche in età avanzata, distruggendo oggetti, e questo per degli sberleffi vocali fatti da civili disarmati. 


A Roma il caso è più tragicomico, e attualmente è in vaglio il ricorso al Tar da parte dei commercianti, la sindaca Virginia Raggi ha prodotto un'ordinanza anti alcol ad ampio raggio che, e qui dovrebbe emergere l'assurdità della questione, agisce su tutti i distretti, tutti e 14, eccetto il quindicesimo il proprio. Non credo serva un'analisi per questa notizia.

A Bologna viene invece proibito l'alcol, oltre che in vari punti della città, ma solo comprato dagli alimentari, quindi l'alimentari a una certa ora chiude se ha in vendita alcol da asporto, mentre il bar di fianco può stare aperto a vendere birre e superalcolici a oltranza, (particolare il caso di Coop Ambasciatori che può tranquillamente continuare a vendere alcol in bottiglia da asporto, in pieno centro anche la sera).
Quest'anno, oltre alle già dette ipocrisie, si è aggiunta un'ordinanza speciale nella piazza san Francesco, luogo di ritrovo pubblico restaurato con nuove panche e area verde per socializzare e viversi meglio la piazza proprio nel 2017, in quest'ordinanza vengono  inoltre vietati gli strumenti musicali, nel senso che non è possibile avere appresso strumenti adibiti a musica. 
Gli strumenti musicali possono dare fastidio a chi dorme, peccato che l'ordinanza parta dalle 17 di pomeriggio.
Anche qui, l'ordinanza appare non solo eccessiva ma tragicomica, perchè dalle 17 di pomeriggio non è vietato fare rumore nemmeno negli spazi condominiali, rendendo questa ordinanza, evidentemente uno strumento di controllo volto semplicemente a scremare i frequentanti della piazza limitandone il suo uso come punto di ritrovo a bambini e anziani, e rendendola vuota nelle ore serali e soprattutto a chi realmente la frequenta di più in quelle ore e cioè gli universitari, ma anche tutta la fascia di età che va dai 20 in su, compresa la fascia di età che rientra intorno ai 30 anni, che è poi la più grande frequentatrice della zona Pratello di cui fa parte la piazza.
Al contempo però, vengono patrocinati, creati e promossi eventi, alcuni in aree residenziali dove alcol e musica non solo sono concessi, ma anche favoriti, a pagamento e serviti dai locali e quindi con un ricarico spesso anche alto per il pubblico. 
Per esempio ci sono Botanique, Mercatino verde del mondo, le varie feste dell'unità, e molti altri, ma quello che potrebbe dirsi il più controverso è quello del Guasto Village.
Il Guasto Village è un'area all'interno di via del Guasto, ovvero adiacente e affacciata su piazza Verdi.
Premessa, piazza Verdi è stata pitturata con diversi murales di stampo politico, tutti spontanei e di cui uno, centrale riporta la scritta "Storia partigiana", questo murales è stato tacciato di essere un atto vandalico, al contempo Piazza Verdi viene usata, essendo pedonale, come punto di ritrovo per chi si porta la birra o altre bevande da casa o le compra nei negozi del centro, resta a chiacchierare seduta per terra e poi se ne va. Il Guasto Village è un'area recintata che al proprio interno ospita stand artistici e altri autorizzati dei locali delle vie limitrofe che servono birra in bicchiere a prezzo di locale, dove sono state anche effettuate opere di street art su tutti i muri della via, (ma fatte in accordo con i residenti dall'associazione Serendippo  e non all'interno del progetto Guasto Village),  il tutto sempre all'aperto.



Il Guasto Village è emblematico perchè ha segnato un confine virtuale e fisico completamente arbitrario, tra due frangenti, uno è quello tra la street art buona e il vandalismo e l'altro è quello tra l'alcol buono e quello cattivo. 
Nel caso della street art parliamo di un confine che è stato tracciato a livello mediatico, che ha accomunato e cementato due progetti diversi, uno nato dal basso e uno istituzionale ossia il progetto Rusco di Serendippo frutto di che invece è progettato e creato tra l'Assessora Bruna Gambarelli, associazioni e locali della zona. Questa fusione mediatica ha finito con l'accreditare un progetto non istituzionale inglobandolo come elemento del progetto Guasto Village (anche se non lo è). Il confine tra l'alcol buono ossia quello dei locali e quello cattivo, cioè quello che ci si porta da casa o si prende dall'alimentari etnico che semplicemente costa meno, si porta in giro ed è meno bello da vedere è invece dato direttamente dal fatto che un'istituzione si faccia promotore di un progetto di riqualificazione di area attraverso la vendita di alcol, la stessa azione però viene penalizzata al di fuori dell'area, a pochi metri, e non solo viene penalizzata la sua vendita, ma anche il suo consumo. In pratica se bevi all'interno del Guasto Village, acquisti dai suoi container, nelle modalità e ai suoi costi, l'alcol va bene e anzi è supportato dal Comune (è di qualità, nonostante sia sempre birra, cocktail e vino), se lo porti da casa, lo compri al negozio di alimentari etnico o in ogni caso lo consumi al di fuori dell'area, è talmente sbagliato da essere un atto non solo deprecabile, ma legalmente sanzionabile.
Arrivando a distinguere così nettamente le pratiche di consumo di alcol buone da quelle cattive, ed essendo l'alcol serale un veicolatore sociale (che questo piaccia o no, che questo sia condiviso da tutti o no, è un dato di fatto storico con le sue luci e ombre) questo cambio di pratica ha anche tracciato il confine tra la socialità buona, cioè quella recintata, autorizzata dal comune, e quella cattiva, cioè quella spontanea che spende meno ma si gode i luoghi pubblici.
Si potrebbe dire che se il problema è il rumore o che è la bottiglia lasciata a terra, allora la risposta può essere che la municipale non manca e poco ci vuole a vedere chi si alza lasciando sporcizia o chi, dopo un'orario consentito (mezzanotte, come gli eventi pubblici autorizzati dal comune in aree residenziali) crea disagio a chi dorme nei dintorni.

La questione street art buona e street art cattiva poi è ancora più particolare, questo perchè la street art è stata "adottata" dalle istituzione in epoca estremamente recente, nasce come arte popolare e pubblica, spesso anche come forma di protesta o di arte sociale. 
Quindi quando le istituzioni ci parlano di ordine pubblico, stanno tracciando in realtà confini a elementi della spontaneità urbana di cui si sono appropriati perchè interessanti e che sono nati e diventati interessanti proprio perchè questi confini non c'erano.

Emblematico è sempre a Bologna, anche il caso di Genius Bononiae (anche se non è certo il primo o l'ultimo caso), che dei muri dipinti ne ha fatto una mostra sulla street art, con contributo di Bansky e reazione di Blu, (e non solo )street artist di fama internazionale, che a Bologna, indignato dal veder staccare opere da edifici in demolizione, opere pubbliche, gratuite, destinate a diventare opera chiusa e a pagamento, ha privato l'intera città di Bologna di tutte le proprie. 
O pubbliche o niente.
Dando, anche se spesso frainteso, un contributo molto forte al dibattito sulla proprietà della street art non commissionata, ma anche a quello che definisce street art quella commissionata ma non quella politica e spontanea (vedi piazza verdi), e infine rendendo visibile quanto nel caso specifico della street art (ma non solo) quanto il suo contesto sia parte integrante dell'opera.
Molti murales infatti sono anche dialoghi o elementi emergenti relativi allo specifico contesto urbano in cui sono inseriti, così abbiamo immagini di mostri in ex macellerie, immagini di lotte in centri sociali, di uccelli che spiccano il volo su case popolari, e immagini di lotta partigiana, in una piazza storicamente di conflitto come Piazza Verdi, realizzata senza una istituzione, ma soprattutto con uno sfondo politico conflittuale con le istituzioni, e volta a rappresentare il bisogno di riappropriazione di un immagine storica, che viene inizialmente trattata come imbrattamento, ne viene proposta la cancellazione e infine resta in un impasse simbolico imbarazzante.

Dall'importanza del contesto della street art, allora il parallelismo con il contesto della socialità non è difficile da vedere, socialità intorno a un tavolo ben circoscritto e sancito, con luoghi adatti a gruppi omogenei, orari e confini tra gruppi ben specifici e socialità in un contesto vitale e aperto, dove il confine tra gruppi, suoni, gusti e ceto sono labili come nelle piazze, è uguale o è diverso? 

Cosa ci perdiamo se si svuota l'azione dal suo contesto?
Se prendo l'azione di bere un alcolico con amici e la svuoto del valore che ha ciò che c'è intorno o come questo avviene, allora una piazza e un locale sono solo questioni di costi in cambio magari di una maggiore comodità di seduta. Questa è come sempre, l'ottica dell'economia, il comportamento razionale è bere, parlare, con persone che conosco. 
Il comportamento umano è invece più complesso, meno controllabile, più imprevedibile ma anche molto più ricco e soffre dei confinamenti rigidi.

Qual è il confine?
Il confine allora è sempre più un concetto estetico, e arbitrario, che rapidamente si trasforma in confine fisico, questo vale per l'alcol, vale per la street art e vale in particolare per la socialità.

L'alcol di classe con birre artigianali, vino esportato a livello internazionale dalle "nostre aziende", acquistato a caro prezzo o anche solo in luoghi accettabili è buono e anzi è ampiamente rivendicato nelle eccellenze italiane, nei fondi comunali dati per nuovi locali di qualità.
L'alcol comprato alla Pam e portato in giro in uno zaino, non è diverso, ma di diverso ha che rispecchia un'immagine povera, bevuto pubblicamente in piazza, senza un bicchiere, seduti per terra, è esteticamente meno attraente, ma più accessibile, anche molto più conviviale del comprarsi ognuno il proprio bicchiere, e soprattutto è molto meno controllabile e prevedibile di un locale, che ha orari fissi, tavoli, sedie, confini fisici e mentali.
Ma, e qui è il punto quando parliamo anche di attività molto belle ma gestite, una socialità spontanea è molto meno controllabile di un'associazione o più associazioni. 
Con questo non sto dicendo che le associazioni fanno brutti eventi o non fanno attività di rilievo sociale, ma non va dimenticato che le associazioni sono dei responsabili formali e diretti di eventi dove i responsabili fisici sono invece moltitudine, sono ricattabili, dai comuni e in generale dalle istituzioni, dai quali dipende la loro sopravvivenza, spesso lo spazio in cui si trovano non è fisso, devono presentare un bilancio di attività, vivono di concorrenza agguerrita per l'accesso ai fondi e hanno una spada di damocle sulla testa ogni volta che il loro bando per eventi/luoghi/fondi è in scadenza.
Un evento fatto da associazioni, per quanto carino possa essere, è il luogo con il massimo livello di controllo su chi gestisce e chi vi partecipa.

Il punto quindi è cosa è bello, cosa è sicuro, cosa è l'immagine di benessere o cosa è controllabile?

Il punto è, se c'è un problema, come il rumore, il vetro lasciato in giro, perchè non vengono attuate le sanzioni a chi infrange il buon vivere condiviso invece che vietare delle pratiche di socialità che lasciano liberi anche chi non può spendere ma soprattutto lasciano liberi tutti di scambiarsi, fluire e creare effettivamente socialità condivisa?
Più una città è vitale, più i tipi di persone/orari/età/attività che abitano i suoi luoghi saranno diversificati e non necessariamente senza conflitto, ma quantomeno avranno la possibilità di avere scambi.
Più una città è invece omogenea, costretta ad adeguarsi alle abitudini e alle vedute di pochi, più sarà controllabile e più difficilmente si creeranno connessioni interessanti.
Spesso questo confondere l'attività in cui le persone si muovono e si intrattengono, con la capacità delle attività di produrre socialità, porta a scelte discutibili ma apparentemente vincenti, apparentemente perchè a livello visivo, contiamo i numeri di chi partecipa, parlo di progetti di intrattenimento culturale, anche di forte interesse e che spesso hanno un valore sociale, che però, in realtà, sono attività di intrattenimento e di fatto, finiscono con l'essere consumo.
Il consumo culturale abbraccia le attività, come le serate organizzate, il commissionare eventi ludici ad associazioni e comitati, ma abbraccia anche l'alcol quando lo si eleva a elemento che richiede "cultura" quali le birre artigianali, e persino la street art, quella commissionata (quindi una cultura creata con lo scopo specifico di decorare ed essere gradevole da fruire) diversa da quella spontanea, ossia una cultura che (possa piacere o meno) esprime qualcosa e nasce da un bisogno spontaneo, spesso da esigenze di comunicazione ed espressione politica, turba, rompe equilibri silenziosi, e quindi interagisce con i passanti, instaura un dialogo, non viene goduta, ma dice qualcosa, legato a gruppi sconosciuti, sottoculture, piuttosto che al suo semplice contesto.


Questa confusione tra fruizione di beni culturali e produzione di dialogo attraverso la cultura piuttosto che i luoghi, si rispecchia poi nella socialità, la socialità che fruisce di eventi dove è ben netto il "consumatore" e il "venditore" che si distingue da quella socialità scomoda e imprevedibile che reagisce a stimoli, si mischia, si ricrea da sola e perde i propri confini di gruppo, scambia.

In Italia, in estate, questo scambio esiste da sempre, nelle piazze.
Dai film di Totò ad oggi, la piazza mattina e sera è pubblica, aperta, condivisa, contesa.

Su Bologna, Arte Migrante sta lanciando una protesta civile, piccola, pacifica e condivisa proprio come una serata in piazza san Francesco, c'è da chiedersi se arriverà la polizia in assetto anti sommossa o se arriveranno solo vigili urbani a staccare multe.

Abbiamo infatti parlato di sicurezza, abbiamo parlato di estetica, abbiamo parlato di confini e di controllo sociale, ma mancava l'ultimo pezzo del puzzle per raccontare le ordinanze estive, i soldi.
Infatti soldi è l'altro elemento chiave, obbligare le persone a consumare la socialità in luoghi ascritti, piuttosto che crearla in modo meno strutturato è anche obbligare a spendere, questo fa girare l'economia locale, molto più di una birra dalla Pam o dall'alimentari etnico, (soprattutto per gli italiani) e se non si rispetta, il comune sancisce, con multe anche molto salate, assolutamente non proporzionate al reato (si va dai 100 euro in su mentre una multa per sosta in posto destinato ai disabili è sotto i 100 euro), in ogni caso, le istituzioni hanno un ritorno economico.

C'è chi parla di risparmio ma in realtà non si può dire che spendano meno in forze dell'ordine, perchè se prima dovevano controllare (ma inspiegabilmente non lo facevano) che nessuno sporcasse o schiamazzasse oltre determinati orari, ora da molto prima dovrebbero occuparsi di fermare chiunque beva, abbia una bottiglia in mano o abbia strumenti musicali.
Il costo delle pattuglie è uguale se non più alto, solo che invece di punire chi sgarra si insegna che tutto sommato non interessa chi sbaglia, il comune può assumere un ruolo punitivo anche verso chi non infrangeva le norme di comportamento civile. In effetti si percepisce che non solo si punisce anche chi aveva un comportamento civile (che non dimentichiamolo, sono la maggioranza), ma interessa mantenere alto il livello di controllo e questo si fa svuotando le piazze, a prescindere dal fatto che questo comporterà il blocco di interi processi di socialità in luoghi storicamente adibiti a questo, che non sono certo devianti e a dirla tutta nemmeno moderni.
Quello che resta di quest'analisi generale sulle ordinanze estive è che c'è una discrepanza sempre più forte tra  le azioni di sanzionatorie e quelli che vengono sbandierati come gli obiettivi di tali azioni, elementi ormai scollegati e che portano a far emergere più una volontà di controllo sociale che una volontà di correggere i comportamenti problematici.
E a questo punto c'è chiedersi se un comune può avere il diritto di modificare radicalmente la vita dei cittadini, rompendone equilibri e potenziale sociale, dividendo i gruppi, favorendo al contempo chi ha più interessi economici nella socialità urbana, ed evitando di mettere in pratica le norme più sensate volte a limitare i comportamenti devianti ma allo stesso tempo mantenere quelli di valore.