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giovedì 1 ottobre 2020

Di Bellezza e di altri demoni o Manifesto della Bruttezza

Cos'è la bellezza? 
Da Wikipaedia

La bellezza è un concetto astratto legato all'insieme delle qualità, percepite tramite i cinque sensi, che suscitano sensazioni piacevoli e che attribuiamo a elementi dell'universo osservato (come oggetti, persone, suoni, concetti), che si sente istantaneamente durante l'esperienza, si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi a un contenuto emozionale positivo, in seguito a un rapido paragone effettuato.Astratta, legata alle sensazioni, spontanea.
Qualcosa di effimero e gioioso, a modo suo infantile, affidabile per ciascuno e differente per piccole o grandi variazioni in ogni epoca.

Negli ultimi anni, questo concetto è andato modificandosi, grazie anche all'allargamento dell'impatto dei media sul nostro quotidiano che è passato da elemento cadenzato (settimanale, mensile, quotidiano), strutturato (palinsesto, tema...) e a senso unico, ad essere un elemento permeante, diffuso e collettivo, per quanto sempre guidato da personaggi più salienti anche al di fuori del mondo dello spettacolo come gli influencer.
La bellezza intesa come caratteristica estetica di gradevolezza sta passando all'essere caratteristica di senso e di simbolo, bellezza quindi come definizione delle generali qualità della persona ma soprattutto come caratteristica intrinseca sempre presente a prescindere dal concetto astratto legato alle sensazioni di immediata piacevolezza.
Questo è considerato una liberazione per il mondo femminile, il primo in effetti a chiedere questo cambio di senso.
Facciamo un passo indietro per cercare di comprendere come si sia passati a questa necessità.
La bellezza nei media e soprattutto nel mondo delle donne nei media, è sempre stato l'elemento fondante. In anni di televisione abbiamo assistito a un susseguirsi di ruoli femminili sempre più vacui di quelli maschili, svestiti, illuminati, giovani, e diciamocelo, il più delle volte inutili se tolti di quell'unica caratteristica che è la bellezza.
A scegliere questo corollario di personaggi, un team di persone in stanze chiuse con teste altrettanto chiuse e formate per perpetrare quello che è sempre stato, cioè l'adorazione della figura femminile, lo scrutare ogni suo più piccolo aspetto fisico e l'utilizzarla per rappresentare la gradevolezza, per far acquisire al suo intorno un valore più alto, una sorta di dote in mano agli spettatori, ai lettori e così via.
Non esiste un prodotto che non sia stato pubblicizzato da una donna, in modi più o meno crudi, volenti o nolenti, il corpo della donna è sempre stato lo sbrilluccichio di valore, l'incarnazione del bello e questo non certo per sbaglio, ma perchè chi ha il potere di rappresentare il bello, fin dall'antichità, è sempre stato l'uomo. 
Pittori, scultori, presidenti di rete e così via sono uomini, lo sguardo con cui ci guardiamo è maschile, come poi emerge in modo surreale in alcune situazioni quale appunto il festival della bellezza dove a parlare sono solo uomini, con un'immagine rubata all'artista Maggie Tailor che rappresenta una preadolescente.
Con l'avvento dei social network e della polarizzazione dei protagonisti del mondo della comunicazione, tutti abbiamo potuto accedere alla visibilità, alla notorietà, all'essere parte del mondo dello spettacolo. Un desiderio normale, qualcosa di impensabile fino a pochi decenni fa e per tutta la storia dell'umanità che ci precede.
Ecco però che la bellezza, un concetto astratto effimero, più o meno soggettivo per quanto sempre permeante della vita quotidiana, passa dall'essere elettivo per pochi ad essere elettivo per tanti, scatenando un blackout.



L'immagine di sè sui social network non è protetta, non è a senso unico, la bellezza è ancora radicata come concetto elettivo per essere visibili, soprattutto per la donna e allora la bellezza diventa un'arma per chi come tutti vuole potersi esporre, poter esporre le proprie idee o i propri argomenti, diventa un'arma perchè se per secoli siamo stati abituati a tollerare o amare l'immagine pubblica di pochi per titoli o per bellezza, se questi nuovi personaggi venuti dal basso non sono belli, non se lo meritano e allora vengono letteralmente messi alla berlina.
Si chiede allora di purificare il concetto di bellezza, per non renderlo più quest'arma dolorosa, dargli un senso nuovo, inclusivo.
Qual è allora il problema?
Il problema è che piegare a sé il senso della parola bellezza non eliminerà il concetto stesso di bellezza, non eliminerà la sensazione immediata e astratta di gradevolezza data da qualcosa di effimero eppure comunque reale come l'aspetto fisico, soprattutto in una società di immagine, che sia una persona, un animale, o un dolce.
Anche se ci dicessimo che la bellezza è di tutti, sapremmo distinguere cosa troviamo bello da cosa invece ci appare brutto, non potremmo impedire al nostro cervello di individuarlo, staremmo fingendo tutti insieme di aver abolito la bellezza, una parola che nasce da un concetto e non il contrario.
Il problema non è cambiare il senso della bellezza per dare a tutte noi la possibilità di sentirsi finalmente chiamare belle, di avere finalmente quella parola che sappiamo essere la più alta onorificenza che ci è stata concessa nel mondo pubblico. 
Il problema non è appropriarcene, ma liberarcene.
La bellezza esiste, la vediamo in una statua di Bernini, sappiamo che ci piace perchè è bella, ma non diamo meno valore a Picasso o a Munch, dove non è la bellezza a incollarci alle loro opere, i loro quadri non sono belli nel senso estetico del termine, sono potenti, sono affascinanti, sono dolorosi, interessanti, tantissimi altri termini che li rendono significativi.
Perchè allora noi donne invece di rompere con il passato ed essere trattate come qualcosa che può essere bello o no e su questo valere o no, invece di accontentarci di una parola da far calzare a tutte non ci appropriamo di tutte le altre, come del resto avviene per gli uomini? 
Perchè abbiamo bisogno di continuare ad adattarci a quello sguardo che ci dà senso solo se può definirci belle? 
La bellezza esiste anche al di fuori della sua parola, non riusciremo e non avrebbe nemmeno senso allargarla fino a distruggerla perchè esisterebbe comunque, ma noi siamo molto, molto di più, appropriamoci di tutte le altre parole, rompiamo con l'idea che siamo meritevoli di attenzioni e di non essere insultate o giudicate solo se siamo belle.



E allora ecco il manifesto della bruttezza



Vogliamo il diritto di essere anche brutte senza che questo ci distrugga, ci umili, ci renda ossessive, ci faccia coprire di strati di trucco fino a cambiarci i connotati negandoci il nostro stesso viso, spendendo soldi per trattamenti dolorosi, puntandoci una lente di ingrandimento perenne che ci ha fatto persino evitare esperienze come l'andare al mare o in bici.
Vogliamo poter essere brutte o bruttine o banali di aspetto senza che questo ci tolga valore, senza che ci faccia sentire inutili, inadeguate, degne di derisione, vogliamo un corpo che funzioni, non si stritoli per forza in jeans che bloccano la circolazione, tacchi che storcono le schiene, possa correre quando vuole e viva nel mondo senza costrizioni e dolori pur di farci sentire che valiamo qualcosa.
Vogliamo valere anche senza un patentino di qualità che dice "sei bella, sei salva", vogliamo essere ascoltate anche se non siamo gradevoli all'occhio, se non siamo ammalianti, seducenti, magre, sexy.
Vogliamo non essere perennemente sotto un'occhio attento talmente maniacale da dare nuovi nomi a parti del nostro corpo non conformi come se questo ci definisse.
Vogliamo avere più parole per descriverci ma anche non descriverci affatto, siamo state sezionate, categorizzate, osservate da pittori, scultori, registi, fotografi, siamo stanche di essere rappresentate perchè ogni rappresentazione è un nuovo sguardo maschile con cui scansioniamo noi stesse. 
Vogliamo prendere vita come un pinocchio che si libera del legno e si trasforma in umano.
Vogliamo non essere coraggiose solo perchè ci spogliamo con una 44 o non fingiamo di non avere peli sotto le ascelle, vogliamo il diritto ad essere coraggiose anche senza spogliarci, anche senza la banalità di vivere come siamo.
Invece che essere tutte belle, vogliamo il diritto di essere brutte e fregarcene.

martedì 20 settembre 2016

Che fatica vivere da femmina! Una riflessione silenziosa ma letale.

Un breve post sulla fatica femminile di esistere e sulla confusa lotta per essere libere.

Poi è più che altro personale, però di recente ho assistito a una splendida assemblea femminista aperta con condivisione di esperienze e dibattito e nello stesso tempo ho fatto un piccolo gesto che mi è sembrata una cosa sbagliatissima per ciò in cui credo in merito al femminismo ma non riuscivo a non farla, ho tolto il like a una pagina femminista che seguo da molto, che ha molto successo e che non sto a dire perchè sembra voglia farle una cattiva pubblicità ma in realtà no.

Diciamo che è una pagina di femminismo basato sulla libertà individuale, tutto molto bello, viva lo shorts, viva il corpo ecc.. tutto iper libero e positivo, così tanto da arrivare al mal di testa.
Mi sono accorta che ad ogni nuovo post c'era una parte di me che si chiudeva invece che aprirsi, che si nauseava invece di apprezzare, in effetti era come avere davanti un urlo continuo di establishment individuale, un sacco di rabbia, tanto consenso collettivo e un senso di malessere.

E so che può essere pericolosa questa critica ma datemi credito del fatto che il mio è un percorso, è stato lungo e non vale per tutti, c'è chi viene vessato, incolpato per ciò che veste e quello è il suo problema primario nel quotidiano e la rabbia verso questo lo aiuta, a me la rabbia senza che generi un dibattito, una riflessione anche interiore, non aiuta, mi sfianca, mi avvelena e chiude un cerchio senza successo.
A me insomma, che non sono adolescente, che il mio corpo lo conosco, l'urlo costante, la lotta arrabbiata, spesso senza guardare oltre l'affermazione di sè ha stancato e non la vedo più troppo utile.
Quello che vedo è che ci sono tante pagine/siti molto più coerenti, più complete e approfondite che purtroppo non usando vignette di donne grasse e in bikini o almeno non specializzandosi sull'urlo, la rabbia e il concetto lineare, vengono poco seguite o comunque molto di meno tra queste per esempio il Ricciocorno Schiattoso, Narrazioni Differenti e altre.
Questa pagina, per assurdo, ho capito che mi stava nuocendo, continuava a focalizzare l'attenzione sulla rabbia, continuava a concentrarsi sul corpo e sul vestito, bello, grasso, magro, pantaloncini hot, sei libera, sei libera anche nel nudo, sì lo so ma forse a un certo punto sono stanca di arrabbiarmi e di parlare di come mi vesto e tenere il dialogo sempre sul mio corpo sempre sul mio vestito, sempre sulla mia libertà di essere sessualmente attraente, sempre tutto a mille tutto positivo da un lato, tutto incomprensibile e negativo dall'altro in percorso senza interruzioni di alti toni.


Perchè gli diamo così tanta attenzione al corpo? Perchè purtroppo qualcuno ancora si sente in diritto di giudicarci per come vestiamo, e questo perchè su di noi come ci vestiamo, come appariamo è importante, agli uomini semplicemente è difficile che succeda, è trasversale al ceto sociale eventualmente, o alle sottoculture ma a parte quello insomma non importa a nessuno come si vestono gli uomini, anche perchè è agli uomini che interessa anche molto meno, in realtà è che agli uomini non interessa quindi non esiste, ma gli interessa come sono vestite le donne e quindi è un fatto e lo è anche per noi donne, gli uomini sono liberi dal doverci pensare, ma soprattutto dal dovere essere connotati, misurati attraverso i vestiti, dall'essere attraenti o meno e che questo influenzi completamente la propria percezione. La sensualità è una connotazione che non li caratterizza primariamente, non quando sono soli o quando sono con gli amici, non quando vanno in giro per strada, quando studiano, lavorano o altro, al massimo è una caratteristica se sei un personaggio di spettacolo o se devi rimorchiare e poco altro.
La fatica di vivere femminile è anche questa, che tutto sommato hai sempre questo metro di misura tatuato nel cervello, di cui vuoi liberarti eppure no, vuoi non essere un oggetto ma al contempo la tua estetica è molto molto importante, che sia basata sull'essere truccata, vestita in un certo modo (piuttosto che un altro, ma diciamo hai un'opinione in merito e la cosa è importante), ti definisce, anche quando te ne liberi, il mondo femminile intorno a te è un durissimo muro di paragone, tu in un certo senso ti privi di quello che tutto sommato è universalmente riconosciuto come un vantaggio sociale, nel tuo cervello volente o nolente, è una lotta concepirti come un essere in cui la bellezza conta meno quando anche a te stessa in fondo importa e tutto il mondo ti ricorda che sì fidati, ti importa.
Quando un po' ne esci hai comunque sempre un paragone esterno, e la fatica è che sì siamo libere ma a volte ho l'impressione che siamo libere dentro un mondo di plastica, come essere libere in un Truman show, dove affermi il tuo modo di vestire sessualizzato per cercare di liberarti da una mentalità che ti ha reso oggetto gradevole e sessuale tutta la vita e lo fa in forme nuove, e tu lo rivendichi, sei divisa dentro te stessa in questa lotta fra la te che è d'accordo con lo shorts libero e la te che è d'accordo con lo shorts* libero ma vorrebbe che non si sentisse semplicemente il bisogno di indossarlo, ne di farne un establisment individuale (parliamo di pantaloncini per dio quanto poco dovrebbe essere importante rivendicarlo) per poi in realtà ripensare a quanto il rapporto di sorellanza sia difficile, impervio e pieno di voci non dette, guerre segrete e giudizi, urlare insieme non è conversare e amare tutto non è capire e sinceramente è un percorso molto faticoso, vivere è davvero faticoso senza contare tutte le riflessioni esterne e condivise con l'altro sesso.

E insomma, brevemente, vivere come femmina è molto più complesso di quello che sembra, sicuramente più di quello che può sembrare a un uomo, soprattutto se decidi di non seguire la strada più facile, che significa che in ogni caso dovrai farti tantissime domande, in tutti gli step della tua vita e visto che la vita non è fatta tutta a step, arriveranno domande e dubbi quando meno te lo aspetti, dovrai fartele sul mondo, su te stessa e cambiare pelle così a fondo e non una volta sola, da rischiare ogni tanto, di perdere la tua immagine fondamentale.
E magari non ho detto niente di nuovo in questo post ma quando si risale dalla nebbia della nostra percezione di se, si affronta periodicamente lo slalom tra i nostri valori e pensieri, tra slogan, vignette, giudizi, complimenti, grida e competizione (che è veramente tanto alla base del mondo femminile purtroppo, e un po' torna come una belva anche quando ce ne si libera per tanto tempo), ci si deve ricordare che abbiamo la responsabilità di non banalizzare il dibattito e non concentrarci su piccole cose su cui è facile avere un'opinione e averla unita e non accontentarci di noi stesse per quello che siamo con gli strumenti con cui nasciamo perchè gli strumenti stessi a volte sono illusori o acerbi e che il cambiamento delle cose è insieme e non solo fatto di atti personali e forse soprattutto non di rabbia, a questo proposito, qui il link di internazionale su una riflessione di Martha Nussbaum che merita di essere letto, e che coincide anche in gran parte con il pensiero che mi ha portato a levare il fatidico like.

*intendo il microshorts iperaderente che è anche relativamente scomodo perchè in realtà quando ti siedi su un autobus tocchi quasi tutto il sedile con la pelle ed è aderente fino all'impossibile tanto che la tua vagina a volte hai l'impressione stia sperimentando una nuova fase della sua divisione labiale.