Visualizzazione post con etichetta comunicazione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta comunicazione. Mostra tutti i post

venerdì 21 luglio 2017

Imbarazzismi di genere negli spot - Scivoloni o finestre sul tema?

Quando parliamo di pubblicità, il tema sessismo fa subito capolino, oggi parliamo di trattamento di donne negli spot e non solo, partiamo da un'analisi dei ruoli tipici per arrivare a quelli che sono quei momenti di seccante imbarazzo, quegli scivoloni poco piacevoli di quando una pubblicità viene vista come sessista, si scatena il web e l'azienda deve fare le solite scuse e una poderosa marcia indietro.

Ma partiamo dai ruoli delle donne in pubblicità, versione 2.0, quali sono? (non li analizzeremo tutti, ma quelli più dannosi)




La mamma è senz'altro il primo archetipo, la mamma è divisa in due grandi filoni, uno è la mamma focolare della casa, ormai piuttosto fuori moda e poco presente, l'altro, più moderno è la mamma iperattiva e tonica, più plasmata sui ritmi moderni. Si caratterizza per essere particolarmente giovane, molto in forma e con un abbigliamento neutro, non sessualizzato, scarpe comode, jeans/pantaloni, camicia/maglia poco scollata e preferibilmente a maniche lunghe, i capelli sono "sotto controllo", in un velo virtuale, ovvero non si muovono, non sono ondosi, non sono scomposti ma vanno dal corto al molto riccio al molto liscio o fermati. La mamma iperattiva è raccontata come la responsabile della casa, dei figli e dell'igiene, infatti è normalmente il testimonial di tutto ciò che riguarda la salute dei bambini, l'igiene della casa, la cura. è la supermamma che lavora, ha poco tempo ma è attiva, in forma, giovane e furba, ce la fa grazie ai prodotti venduti. L'esempio più evidente è quello della pubblicità della Lysoform.

La donna oggetto, non ci giro tanto intorno, questo tipo di testimonial è presente in vari modi più o meno espliciti per essere l'oggetto del desiderio dello spettatore o del protagonista dello spot. A volte viene utilizzata una testimonial famosa, per essere più accettabile, infatti possiamo evidenziare che la pubblicità con esplicito desiderio sessuale come incarnazione di prodotto è sempre più difficile da far passare senza critiche, il testimonial, in quanto già incarnazione vivente di sessualità riesce a evitare lo scivolone, e in effetti assistiamo a un aumento dell'uso dei testimonial di fama, in controtendenza rispetto agli anni precedenti. Un esempio di questo tipo di caratterizzazione è la pubblicità della Schwepps.
La donna oggetto può essere la donna che si rende disponibile al protagonista facendogli compiere azioni buffe, eroiche o di miglioramento tramite i prodotti, o può essere l'implicita ricompensa allo spettatore se utilizzerà il prodotto.

In questo caso abbiamo la cosiddetta "magnifica ricompensa" ovvero la donna che in quanto sessualmente attraente è oggettificata come ricompensa del protagonista/spettatore per aver acquistato il prodotto o per aver compiuto azioni eroiche o degne di nota. Troviamo questo esempio nello spot Algida, quello del cornetto che sviluppa la propria immagine già da alcuni anni su una narrazione romantica. L'ultimo spot uscito vede la ragazza come apparentemente la protagonista dell'azione, siamo portati a crederlo perchè è il primo personaggio che vediamo, viene seguito di più dalla camera e inquadrato spesso in primi piani, ma in realtà svolge il ruolo di contatto con il prodotto, se ci pensiamo bene infatti, la ragazza non fa assolutamente nulla tranne essere carina e portare il prodotto. Nella trama, non è che la ricompensa del protagonista che è colui che svolge azioni interessanti per arrivare al prodotto (e alla ragazza). Nella fattispecie il ragazzo, che è uno street artist, colpito dalla ragazza con il cornetto, per conquistarla modifica la propria opera e ne fa un gigantesco ritratto di lei (con il cornetto), e grazie all'azione ottiene la ragazza.

Un altro spot di esempio è sempre Algida, qui la narrazione intorno al gelato è riferita alla socialità, all'amicizia, alle follie estive, alla spensieratezza e al fare qualcosa di energico e divertente. Nello spot vediamo infatti varie sequenze di vita quotidiana e il protagonista è apertamente maschile, compie azioni, soprattutto amichevoli, le ragazze sono presenti come contorno, anche quando si parla di amicizia non sono contemplate se non come intorno dell'azione e supporto del protagonista, ovvero guardano, stanno a fianco ma non compiono l'azione del protagonista e degli amici, sono delle insalate di plastica con il sushi, fanno colore. 
Alla fine dello spot, arriva la magnifica ricompensa, una ragazza con in mano il gelato che balla con il protagonista.
Lo spot di magnifica ricompensa è molto insidioso perchè appunto riesce a bypassare lo stereotipo del sessismo che si identifica di solito con la sessualità evidente, abbassa però la capacità dell'immagine femminile di compiere azioni che non siano essere carina, essere desiderabile, compiere azioni legate al romanticismo e ai rapporti con il ragazzo, supportare il ragazzo nelle sue avventure, e infine essere una ricompensa per la vita del protagonista.
Ho preso l'esempio Algida perchè volenti o nolenti, chi ha fatto gli spot, probabilmente senza volerlo, e senza dubbio mettendoci impegno e casting, ha presentato comunque lo stesso tipo di trama, e lo stesso tipo di caratterizzazione della donna.
Possiamo prendere anche un altro tipo di magnifica ricompensa, ovvero la ricompensa negata. Il protagonista potrebbe avere il prodotto e questo gli procurerebbe l'accesso alla ragazza, ma è un protagonista perdente e quindi qualcuno (con il prodotto) gliela porta via.
La tipologia di ragazza contorno o maginifica ricompensa, sono facilmente riscontrabili nelle pubblicità per giovani, sono dinamiche, richiedono una trama che intrattenga e con azioni spesso creative, si riconoscono per tipo di prodotto venduto, età dei protagonisti. Hanno "protagoniste" femminili apparentemente attive, furbe, sveglie, ma che di fatto in realtà non fanno altro che essere ammiccanti, emotive e carine, la furbizia è correlata unicamente al prodotto e alla capacità di attirare.

Passiamo a la Grechina, un tipo di figura che è stato discusso da Lorella Zanardo, è la donna senza sessualità ma gradevole che fa da contorno e /o veicolo, è il corpo piacevole da guardare per mantenere l'attenzione, lo troviamo di solito per prodotti neutri o servizi finanziari, per tutto ciò che riguarda situazioni spiacevoli, mal di denti, mal di testa, richiesta di un mutuo, ecc... è la suggeritrice o la gradevole soluzione al problema, è una rappresentazione fisica dell'azienda e del prodotto. Assomiglia al ruolo di madre in quanto a mascheramento dei caratteri sessuali, sorriso e vestiario. Un esempio è riscontrabile nello spot della Tantum verde


La ribelle è un altra tipologia femminile molto in voga, particolarmente interessante perchè si pone ad un ulteriore livello strumentale,
è di nuovo la donna che viene presa per ammiccare al consumatore non solo per identificarsi con il prodotto ma spesso, anche per qualificare l'immagine dell'azienda agli occhi delle donne. La ribelle viene sempre posta come l'incarnazione della ribellione agli stereotipi, cosa c'è di criticabile in questo? 
Il criticabile è che nuovamente un corpo (che in ogni caso non esce mai dal dogma dell'essere bello e sessualmente attraente), sempre quello della donna, viene riempito di significati (che in realtà sono per lo più legati solo ad accessori e vestiario) per parlarci di come è giusto o meglio essere donna, attraverso un personaggio che esce simbolicamente da un passato discriminatorio per vendere un prodotto, per ammiccare al consumatore, qualificando l'immagine dell'azienda.
Questo è solo un altro livello di oggettificazione, più amichevole rispetto alla generazione di donne che del modello pubblicitario remissivo e accondiscendente ha in realtà solo una narrazione. 
La tipologia ribelle è caratterizzata per ambientazioni più moderne, lucide, vestiti apparentemente trasgressivi, trucco apparentemente trasgressivo, non va quasi mai oltre ad una diversa rappresentazione del trucco e delle pose, analizzandola possiamo vedere che in realtà non fa molto più delle colleghe, ma lo fa come un distacco dall'opinione altrui. Viene posta, proprio in mancanza di una effettiva azione o caratterizzazione oltre il look, in antitesi al modello sensuale o madre o grechina, di cui vengono esacerbate le caratteristiche che sfociano normalmente nello snobismo, stupidità, futilità, in qualche modo riconfermata come tipica della donna.
E si torna al messaggio standard del "non è come le altre", di fatto rendendo un eccezione allo standard del mondo femminile che è noioso e futile, la ribelle e giudicando in ogni caso le altre donne, sempre ben categorizzabili e leggibili in classi standard, di fatto non umane ma pura narrazione semplificata. 
Un esempio è lo spot dell'Opel corsa

Quello che diventa evidente se includiamo questo ulteriore ruolo nei tanti personaggi femminili che compongono l'oggettificazione pubblicitaria, è che il corpo della donna negli spot non è mai un elemento neutro, la donna negli spot non è mai interamente una persona in quanto tale, come è invece per i ruoli maschili, ma è sempre e comunque un corpo gradevole veicolatore di messaggi e simboli molto specifici, soprattutto legati all'intero mondo femminile e non solo alla storia nello spot.

Nell'ambito bambini, la questione è più semplice, i bambini, soprattutto negli spot televisivi sono accuratamente non sessualizzati, troviamo però a fasce di età diverse, diversi modi di rappresentarli.
Quando sono molto piccoli, le bambine e i bambini se non sono neutri, possono essere caratterizzati di potenzialità culturali, un emblema è lo spot della Huggies che peraltro ha fatto molto discutere, la bambina attira il bambino, è carina, farà cose carine, il bambino ha un insieme di potenzialità culturali legate all'azione. Oltre a questo però, non abbiamo grosse distinzioni tra maschio e femmina nel mondo prescolare.

Quando si parla di bambine in età scolare invece, la questione già cambia, il ruolo della bambina è legato alla decorazione di sè e al giocare al piacere agli altri, anche se in modo non apertamente sessuale. Le pubblicità che coinvolgono bambine in età scolare presentano bambine molto accessoriate, spesso leggermente truccate, con acconciature elaborate (trecce, codini) e molti ninnoli. Nelle bambine in età scolare entriamo poi nel discorso (che non voglio ampliare troppo qui), dei prodotti proposti a loro, che includono per lo più bambole estremizzate in questo senso o prodotti volti proprio al truccarsi, vestirsi, agghindarsi, farsi belle, piacere.
Ovviamente in generale sui bambini troviamo una maggiore varietà di ruoli, salvo eccessi eclatanti di sessualizzazione  o in generale nelle campagne di abbigliamento che presentano frequentemente il fenomeno di adultizzazione.
Difficilmente troviamo pubblicità apertamente sessualizzate e molto stereotipate, proprio a causa del fatto che i bambini ancora non rientrano appieno nella categorizzazione culturale di genere.
Però possiamo notare che è sempre molto difficoltoso per i pubblicitari presentare ruoli diversi dall'insieme di significati legati al genere a cui i bambini appartengono. 
Se ci facciamo caso, possiamo osservare che i personaggi infantili femminili che escono apertamente dallo standard, si presentano faticosi, finti, esagerati o creati appositamente per esaltare il non sessismo dell'azienda.
Un esempio è lo spot di Lufthansa dove la bambina per poter essere una bambina tecnicamente preparata, è agghindata molto (fermagli, accessori, enormi occhiali) ma viene esagerata nella sua intelligenza fino ad essere la macchietta del secchione, antipatica, fredda, con un robot come pupazzo, di fatto per fare una bambina intelligente la si è dovuta stereotipare o esagerare anche in uno spot dove i toni non sono quelli del comico e non sarebbe stato affatto necessario.

Se prendiamo le preadolescenti / adolescenti, lì il discorso diventa molto piatto, se escludiamo il grande bacino delle pubblicità con i giovani come il futuro (dove rientrano indiscriminatamente maschi e femmine), l'adolescente è presente negli spot solo in modo apertamente sessualizzato, è presente come magnifica ricompensa o per rivolgersi ad altre adolescenti e passa costantemente il messaggio dell'acquisto del prodotto come strumento per essere attraenti e desiderabili, con pochissime fuoriuscite dai ruoli già dedidicati alla donna.

Quello che voglio dire presentando questi personaggi però, non è che la pubblicità sia cattiva, perchè la pubblicità in realtà è fatta per rendere un prodotto appetibile per il consumatore, non per promuovere messaggi sociali.
Le aziende non sono amiche dei consumatori, anche se si travestono come tali, le aziende hanno un obiettivo molto semplice che si manifesta con gli spot, e cioè vendere un prodotto o servizio, e per farlo deve farsi piacere e far piacere il prodotto, soprattutto poi, deve far identificare il prodotto con una serie di simboli, altrimenti rischia di non essere acquistato. Infatti la concorrenza tra prodotti praticamente identici si risolve nell'accezione simbolica di cui si riveste ogni prodotto, un prodotto funziona meglio se è stato identificato per la ribelle invece che per la mamma, anche se di fatto lo utilizzerebbero (e probabilmente lo fanno) tutte e due le tipologie.
Per quanto mi riguarda, la confusione che crea questo avvicinamento amicale delle aziende ai consumatori e la loro fusione con valori e simboli, è visibile in modo emblematico nel marchio Vitasnella, che dopo altri marchi, alcuni anni fa, intraprese la strada del body positive per la propria immagine, con quello che è stato applaudito nei commenti social come un grande spot e cambio di linea, e che in realtà è fin troppo palesemente solo un impacciato cambiamento di pelle di una sostanza che è sempre la stessa.
Infatti parliamo di un brand che innanzitutto si chiama Vita - snella, e che vende prodotti dietetici o coadiuvanti del dimagrimento, per quanto possa esprimere attraverso gli spot concetti sul body positive, l'obiettivo è bypassare un periodo di magra per chi vende prodotti dimagranti presentando il dimagrimento come un desiderabile punto di arrivo per le donne e viene accusato implicitamente di body shaming.
L'azienda non è ne promotore di messaggi propri, ne amica, è un'azienda, e il suo obiettivo principale è vendere i propri prodotti a una clientela che cambia ma che di fatto resta il suo target.
Quando parliamo di pubblicità sessiste parliamo quindi di rappresentazioni di realtà esistenti che le aziende usano per essere più vicine al proprio target, per farsi voler bene e quindi vendere, non sono ne cattive ne buone, sono interessate.
Allora si apre un altro tema, le scuse post pubblicità sessiste, che avvengono ogni giorno, scivoloni del reparto comunicazione che non hanno ammiccato bene al bacino di utenza e sono state sostanzialmente troppo esplicite, come la pubblicità della de Agostini  o quella della Bic, o più di recente la pubblicità dell'Audi in Cina.

Non è un caso poi che, se escludiamo le pubblicità di moda, sono più spesso quelle fatte fatte da studi pubblicitari meno rinomati o meno illustri, o le cosiddette pubblicità fai da te, se ne escano spesso con immagini e giochi di parole apertamente molto sessisti e molto sessualizzati. Paradossalmente sono più onesti, infatti non hanno il livello di consapevolezza del politically correct per distinguere che un messaggio implicito che funziona non lo si può dire ad alta voce, gli stessi messaggi si possono dire in modo più raffinato e attraverso ruoli oggettificati più accettabili perchè più vicini alla realtà come forma.
La pubblicità rappresenta la realtà, o meglio una sua narrazione semplificata, e la realtà è che un prodotto vende di più se di fianco c'è qualcosa di attraente o se lo si caricano di valori, la verità è anche che le donne sono più ascoltate se sono belle, più interessanti se sono belle, e se non sono belle contano molto meno, ottengono molto meno, sono spesso viste in relazione all'amore, alla famiglia e all'uomo molto più che rispetto alle proprie caratteristiche individuali o le loro capacità, sono molto più vessate se il loro corpo non rispecchia ciò che dovrebbe essere, (e questo vale in particolare quando si parla di religione, buon costume, buon gusto, tutti concetti applicabili all'estetica che difficilmente si applicano al corpo dell'uomo) e cioè disponibile, attraente e semplificabile in categorie (come avviene anche per gli "esterni" come ho spiegato in un altro articolo che trovate qui). 
La pubblicità non è il cattivo, è solo uno specchio molto grande in cui tutto questo diventa evidente.
Per qualche dato, vi linko una interessante ricerca sulle rappresentazioni di genere nelle pubblicità svolta dall'Università di Bologna.
Chiudendo infine con la pubblicità dell'Audi, possiamo farne una breve analisi e dire che in tutta onestà non era nemmeno una pubblicità davvero sessista. Mi spiego, l'azienda ha giocato sul rapporto tra parenti e sposi dei figli, la pubblicità poteva benissimo essere fatta anche al contrario da padre o madre della sposa verso il suo nuovo marito, e non sarebbe cambiato assolutamente nulla. L'oggettificazione reale della donna in quanto donna, non ci sarebbe stata, la pubblicità avrebbe fatto sorridere, o anche no e nessuno l'avrebbe criticata. è vero la donna viene paragonata a un oggetto, ma non in quanto donna, in quanto persona che passerà la vita con il figlio, sarebbe valso al contrario. L'azienda è stata poco furba esponendosi a una serie di critiche evitabili facilmente facendo lo spot al contrario ma non si è comportata in modo sessista.
Quando parliamo di oggettificazione bisogna anche non cadere nel tranello facile del "qualsiasi riferimento o paragone donna/ sesso o donna/oggetto è sessismo", il più delle volte l'esplicito è meno pericoloso di quello che ci passa sotto il naso.
Un altro esempio di questi scivoloni interpretativi, questa volta dal gruppo Non una di Meno di Mantova, a mio avviso, è quello sul manifesto di intimissimi, viene criticata la posa sexy e un po' vacua della modella, non una di meno ci si è pesantemente scagliata contro.
Ma stiamo parlando di intimo femminile, non è oggettificazione se il prodotto è effettivamente un prodotto femminile e sensuale, e che per essere rappresentato indossato va portato da seminudi, così come si potrebbe rappresentarlo con una donna normale, non è nemmeno sbagliato rappresentarlo con una donna molto bella, su cui il prodotto probabilmente ha un effetto migliore e invita quindi maggiormente a essere provato. Inoltre non mi aspetto che una pubblicità di intimo rappresenti la donna, mi aspetto che faccia vedere dell'intimo e non mi stupisco se in quanto intimo ci sia anche una certa sensualità dietro, di certo mi darebbe molto più fastidio pensare che sia compito di una pubblicità di intimo, il carico di rappresentare la complessità del mondo femminile, o debba farmi vedere che ehi anche le donne sono intelligenti.
Non è il compito di un cartellone che cerca di vendermi un paio di mutande di pizzo.
Se proprio dobbiamo prendercela con Intimissimi, prendiamocela per quando ha utilizzato una donna pure per vendere mutande maschili, ma ancora di più prendiamocela con quegli uomini che ancora comprano solo se ci sono un paio di tette dietro.

(molte delle illustrazioni sono state raccolte da internet e sono di Paola Bonet ; qui il profilo Pinterest)



martedì 27 settembre 2016

Girls of Paradise e l'indignazione



In questo post, riporto una notizia uscita recentemente su Adweek, nasce in Francia il sito di  escort Girls of Paradise (ragazze del paradiso) un sito decisamente molto particolare.
Il sito infatti si presenta come un normale sito di prenotazione escort, con possibilità di chattare in live e anche di telefonare direttamente alle ragazze. Finchè il possibile cliente non contatta effettivamente le ragazze, tutto normale. Cambia però quando il cliente utilizza la chat o il telefono, a quel punto partono altri tipi di fotografie rispetto a quelle presenti, e il cliente scopre che effettivamente la ragazza scelta è morta sul lavoro ovvero come escort, a causa di un cliente violento.
Il sito è stato creato dall'associazione francese Mouvement du Nid che si occupa appunto di aiutare le donne che subiscono violenza e abusi nel giro della prostituzione.
La campagna è stata creata prendendo spunto dalla nota serie televisiva Walking dead che aveva ironicamente utilizzato Tindr per la promozione della nuova stagione, man mano che si chattava con una ragazza questa si trasformava in zombie (io lo trovo spassosissimo comunque). 
Tornando a Mouvement du Nid, al di là del forte impatto e del senso di indignazione che cerca di provocare, la campagna naturalmente resta in qualche modo sospesa dal fatto che non sappiamo se le persone che hanno cercato di contattare le ragazze vengano poi indirizzati verso una qualche forma di ascolto e rinforzo piuttosto che restare indignati e sicuramente scioccati ma probabilmente avere un periodo di allontanamento e poi ritorno. Perchè essere così pessimisti? Perchè purtroppo la violenza nel mondo della prostituzione non è un mistero o una notizia segreta e di casi ne sentiamo se non spesso almeno con una certa frequenza tale da dirci che è una situazione di norma e non un'eccezione rara al punto da essere fascinazione in film e telefilm che vediamo quotidianamente dentro le nostre case.
(a sinistra uno screenshot di True Detective, dove una prostituta di paese racconta e involontariamente mostra la frustrazione che abitualmente i suoi clienti sfogano sul suo corpo)
Eppure è detto il mestiere più antico del mondo, anche quando non si poteva esimersi dallo scegliere fisicamente una persona e magari ignorarne lividi e affini.
La campagna del sito Girls of Paradise ha di interessante, a parte lo shock emotivo di far eccitare i clienti per fargli scoprire che la ragazza per cui hanno un'erezione è morta, che ha ripreso l'idea del web come strumento trasformista che da barriera patinata e spersonalizzata di una realtà spesso edulcorata, diventa doppio specchio di una realtà più cruda e tutto sommato volutamente ignorata. Rompe in un certo senso la quarta parete e porta le ingiustizie e le cattiverie provocate dalle nostre scelte su un piano di immediata responsabilità. Un tentativo che associazioni no- profit e agenzie stanno cavalcando da tempo, basti pensare all'esperimento sociale con il distributore di t-shirt a basso costo (a questo link potete vederlo), il web e la tecnologia offrono attualmente la possibilità di interazioni complesse e gestibili, allo stesso tempo ci siamo così abituati ad usarle che qualsiasi messaggio diverso da quello che ci aspettiamo provoca effettivamente una reazione.
Ma le implicazioni su questo genere di campagne su cui vorrei soffermarmi sono un paio:
  1. La ripetitività, queste campagne sono ancora abbastanza di impatto perchè sono qualcosa di relativamente nuovo ma questo non dura per sempre, anzi, vista la velocità di propagazione mediatica attuale dura sempre di meno. Basti pensare alle tipiche immagini dei bambini dell'unicef se ci pensiamo bene non ci fanno praticamente più nessun effetto, anzi in realtà provocano nel nostro cervello effetti negativi e controproducenti rispetto alla percezione di qualsiasi persona di colore che possiamo poi vedere nella vita reale nonchè della causa stessa. Prima o poi in pratica, ci abitueremo anche a questi effetti sorpresa, in un insensibilizzazione di noi stessi ancora maggiore, e per insensibilizzazione intendo che vedremo una campagna, penseremo "un'altra" e con un po' di noia passeremo oltre.
  2. Indignazione che parolone, sì ci ho un po' fatto la rima ma perchè è un po' il leitmotiv del momento, c'era una volta il popolo di internet, si indignò, fine. L'indignazione è un sentimento molto sopravvalutato perchè è visivamente misurabile, (quindi alle agenzie di comunicazione fa molto molto comodo) lo vediamo dalle condivisioni (e sappiamo che è superficiale perchè funziona anche con notizie palesemente false che per "indignazione" vengono condivise senza approfondire), lo vediamo dai video, dalle foto, abbiamo insomma l'idea di quel momento in cui avviene lo shock e quindi la presa di distanza, la rabbia. Il punto è che se questo sentimento fosse affidabile il mondo occidentale, le nostre scelte d'acquisto, la prostituzione, tutto il mondo sarebbe nettamente diverso, il fatto è che in realtà l'indignazione è molto fugace se poi non viene sostenuta da un percorso, da un rinforzo di stimoli e da una realtà che ne sostenga la parte razionale, cioè il nostro cambiamento nei confronti di ciò che ci ha indignato. Gli uomini che hanno scelto le prostitute e poi sono rimasti scioccati pensiamo che non cercheranno più il piacere fisico di una persona pagandola? O magari tornerà il bisogno più forte dello shock e tutto sommato la normalità avrà la meglio? Semplicemente per quanto di impatto, queste campagne non hanno seguito, ha seguito l'associazione (che agisce sulle prostitute) ma non la campagna (che agisce sul cliente). Io ci vedo una falla importante soprattutto perchè come con le condivisioni si crea l'illusione dell'azione.
Detto ciò, la campagna è interessante e scioccantemente efficace per far restare molto male chi sta cercando una sveltina a pagamento con un corpo senza un'anima, un'occhiata la merita sicuramente e anche se ho scritto una critica è sicuramente un bel lavoro con una carica emotiva molto forte anche per chi non è in cerca di carne fresca ma vede solo il video.

mercoledì 21 settembre 2016

C'erano una volta un nero, un rumeno e un'islamica

Quando dico un nero, un uomo di colore, un rumeno o un'islamica, sto descrivendo una persona di cui sto specificando la non appartenenza a ciò che corrisponde ai miei simili e al mio sistema di valori, credenze su me stesso e chi mi sta vicino o ciò in cui mi identifico. 
Questo è il linguaggio giornalistico a cui siamo abituati e ci sembra una cosa perfettamente normale, del resto in questo modo ci facciamo subito un'idea di chi è la persona di cui si sta parlando rispetto a ciò che ci interessa come elemento primario, ovvero se era parte della mia comunità, una minaccia interna o esterna. Nel caso di interna, la considererò più probabilmente come l'atto che è e farò alcuni collegamenti che riguarderanno quante di quelle notizie ho sentito riferite alla zona, se è un pericolo per me o se semplicemente è un fenomeno isolato, in quanto non posso ovviamente fare dell'erba un fascio di ciò che tutto sommato sono anch'io. Nel caso invece fosse una minaccia da ciò che considero esterno a me, la mia comunità e i miei valori tenderò a creare nel mio cervello una stima di quante notizie percepisco relative a quella "categoria" e mi farò un'idea complessiva di quella categoria sulla base di questo, di tutta la categoria, perchè il mio cervello sintetizzerà per definire l'estraneo nel modo a me più utile possibile, per la mia sopravvivenza piuttosto che per avere una preparazione rispetto a ciò che non conosco. Per stabilire chi è definirò se era un bambino, era bianco, era cristiano, era occidentale (che è abbastanza intercambiabile con il tipo di religione), era italiano, era un uomo invece di una donna, era bella o no.


Tendenzialmente queste sono le cerchie di vicinanza principali del nostro sistema giornalistico per definire quello che ci è vicino e quindi quello per cui ci importa di più. Quella delle cerchie è un sistema biologico ovvero è normale che ci importi di più anche se non vorremmo ammetterlo, di qualcosa che concepiamo come simile o vicino a noi, questo perchè il nostro cervello in effetti non è fatto per concepire l'intero globo umano come vicino, altrimenti probabilmente avrebbe dei discreti disturbi, soprattutto in un'epoca in cui sappiamo di tragedie ogni giorno avvenute in ogni parte del mondo. Questo nostro sistema esiste per gli umani e poi si estende al mondo animale, ovvero abbiamo più empatia per i mammiferi che non per gli insetti.

Questo significa in pratica che è normale non sentirsi male o coinvolti allo stesso modo se una tragedia è avvenuta in Africa o in Germania, percepiamo il pericolo e il dramma in modo diverso, ciò che percepiamo come vicino geograficamente, umanamente ci colpisce di più, e sì non è bello, ma è normale a livello istintivo e possiamo ammetterlo con noi stessi e andare avanti cercando di ragionarci.
Allo stesso modo è comune che quando c'è una crisi o un pericolo tendiamo a chiudere il cerchio a ciò che sentiamo vicino e i nostri confini di familiarità si restringono.
Questo però diventa anche sintomatico del nostro modo di percepire anche persone che effettivamente vivono con noi o fanno parte del nostro sistema culturale, e di come non cambiamo il nostro atteggiamento istintivo e questo è evidente da come categorizziamo anche attraverso il sistema dei media che dovrebbe in qualche modo essere in grado di abbattere i nostri modi istintivi di ragionare con la competenza, il ragionamento e il linguaggio, mentre in realtà nei media (italiani) ancora di più si vede quanto in effetti si distanzino da noi gli esseri umani che percepiamo diversi incasellandoli in categorie specifiche anche quando non sarebbe necessario.


Questo lo ammetto è un esempio molto eclatante, è il Giornale quindi insomma sappiamo che è particolarmente di parte, ma centra il punto, e ci permette di vedere diverse strategie manipolatorie per creare un'opinione specifica, vediamo quali:
1- la foto usata è di persone non solo in Niqab ma con un atteggiamento complottistico, si parlano molto vicino come se stessero cospirando e guardano altrove come se stessero parlando di qualcosa fuori da loro di cui non devono farsi sentire, domina il nero a tutta foto
2- l'ovvia definizione de "l'islamica" che vi anticipo ricorre in tutto l'articolo insieme a musulmana, la persona coinvolta, di cui non sappiamo il nome viene poi chiamata donna solo in coda all'articolo
3- il "Ma" tra l'altro in maiuscolo inspiegabilmente (!!!) per definire un punto di rottura inaspettato che ha portato a conclusioni che sorprendono rispetto a come si suppone dovesse andare
4- il contesto, ho voluto tenere tutto perchè mi sembra emblematico inserire qualsiasi articolo che parli di altre religioni in un giornale dove intestazione e fascia laterale sono dedicati a inchieste che titolano "Cristiani sotto tiro" (aaargh)

Non è nello screenshot ma la notizia indica sostanzialmente che una donna in Niquab si presenta in ospedale per un prelievo e principalmente gli anziani si spaventano a morte e iniziano ad aggredirla, gli operatori ospedalieri ovviamente fermano il linciaggio ma secondo il Giornale hanno la colpa di non rispettare la legge e non spogliare la donna del Niquab. 

Umanamente, immaginatevi di trovarvi a difendere una persona in un ospedale perchè aggredita da una piccola folla, se trovereste normale anche obbligarla a spogliarla piuttosto che levarla dalla folla, calmarla, verificarne i documenti e spiegarle che alla prossima non sarebbe il caso di venire in Niquab in ospedale perchè per la legge italiana la cosa non è possibile.

Ora, va ricordato che il Giornale viene letto, cioè non è solo un momento di discussione folkloristica e io non vorrei essere nei panni di chi legge perchè dev'essere una fatica incredibile essere così terrorizzati da tutto ciò che ci sembra diverso in un'epoca di migrazioni.
Ah comunque questo è il link, la notizia è di oggi. 


Nel momento in cui si descrive un altro essere umano come:
"Un nero"
"Un'islamica"
"Un rumeno"
noi altro non stiamo facendo che ridurre il più possibile la persona descritta a ciò che la distanzia da noi, a ciò che ci permette di incasellarla in una categoria di distinzione da noi, si può obiettare che è un modo per sintetizzare ma in realtà si sta usando un doppio standard, noi stiamo precisando che non è uno di noi, non avremmo semplicemente bisogno di dire che è bianco in una notizia dove un bianco cristiano viene ucciso dalla polizia, o ruba in una  tabaccheria, non è necessario, ma un senegalese o un rumeno dobbiamo rimarcarlo, specificarlo, ed è una sorta di allerta involontario, e attenzione perchè nel caso della notizia ormai tristemente usuale della violenza della polizia americana contro chi è fisicamente afroamericano stiamo anche spostando un po' l'attenzione dal problema.

Non è che sia stato ucciso un nero, ma è stato ucciso un uomo e non si sa o già si sa che la sua morte è dovuta al fatto che fosse afroamericano e c'è una parola per questo cioè razzismo, che in un clima di politically correct si ha quasi paura a dire, forse perchè vogliamo illuderci che non esista più, che il momento del razzismo non ci appartiene, noi siamo la generazione occidentale buona quella con le canzoni come New Day di Wyclef Jean feat. Bono, non come quei tizi ignoranti degli anni '50 (e non solo ma lo identifichiamo in quel periodo come se fosse una scatola chiusa con usi e costumi definiti e lontani) in America.



Ma in realtà forse dovremmo ammettere che siamo umani e nemmeno storicamente tanto lontani dai nostri antenati inopportuni, ammettere le nostre falle invece di chiuderci nel perbenismo, questo vale per il razzismo, l'omofobia, il sessismo, curioso discorso a parte si fa con il fascismo, che identifica esattamente il movimento storico ma in termini moderni vogliamo così tanto rifiutarlo come idea di appartenenza che l'atteggiamento moderno di fascismo viene identificato non con il termine fascismo ma senza un termine specifico come antitesi all'antifascismo e definisce un concetto di antidemocrazia e autoritarismo nonchè discriminazione, e non è che serva Mussolini per renderlo reale così come non è che serva il Ku Klux Klan per definire razzismo un trattamento violento dovuto al colore della pelle (e nel caso americano parliamo di persone con un fenotipo diverso che vivono nello stesso posto di chi ha un fenotipo bianco più o meno dalla stessa epoca essendone stato anche vittima per secoli).

Il tipico immaginario Hollywoodiano del razzismo americano, epoca affettata e finita di sessismo e razzismo conclamato che possiamo guardare attraverso un film (bellissimo film) senza sentirci coinvolti direttamente.


A volte abbiamo così tanta paura di quello che siamo o potremmo essere che finiamo per esserlo solo per non doverlo ammettere e affrontare.

Un piccolo esercizio mentale per riconoscere l'umanità degli altri quando ci troviamo davanti a questa situazione è leggere effettivamente i titoli dei giornali, poi gli articoli e chiederci come sarebbero scritti se i soggetti fossero semplicemente bianchi o italiani o uomini (in particolare nelle notizie di violenza sessuale o femminicidio su cui andrà scritto un articolo a parte) o cristiani.