giovedì 1 ottobre 2020

Di Bellezza e di altri demoni o Manifesto della Bruttezza

Cos'è la bellezza? 
Da Wikipaedia

La bellezza è un concetto astratto legato all'insieme delle qualità, percepite tramite i cinque sensi, che suscitano sensazioni piacevoli e che attribuiamo a elementi dell'universo osservato (come oggetti, persone, suoni, concetti), che si sente istantaneamente durante l'esperienza, si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi a un contenuto emozionale positivo, in seguito a un rapido paragone effettuato.Astratta, legata alle sensazioni, spontanea.
Qualcosa di effimero e gioioso, a modo suo infantile, affidabile per ciascuno e differente per piccole o grandi variazioni in ogni epoca.

Negli ultimi anni, questo concetto è andato modificandosi, grazie anche all'allargamento dell'impatto dei media sul nostro quotidiano che è passato da elemento cadenzato (settimanale, mensile, quotidiano), strutturato (palinsesto, tema...) e a senso unico, ad essere un elemento permeante, diffuso e collettivo, per quanto sempre guidato da personaggi più salienti anche al di fuori del mondo dello spettacolo come gli influencer.
La bellezza intesa come caratteristica estetica di gradevolezza sta passando all'essere caratteristica di senso e di simbolo, bellezza quindi come definizione delle generali qualità della persona ma soprattutto come caratteristica intrinseca sempre presente a prescindere dal concetto astratto legato alle sensazioni di immediata piacevolezza.
Questo è considerato una liberazione per il mondo femminile, il primo in effetti a chiedere questo cambio di senso.
Facciamo un passo indietro per cercare di comprendere come si sia passati a questa necessità.
La bellezza nei media e soprattutto nel mondo delle donne nei media, è sempre stato l'elemento fondante. In anni di televisione abbiamo assistito a un susseguirsi di ruoli femminili sempre più vacui di quelli maschili, svestiti, illuminati, giovani, e diciamocelo, il più delle volte inutili se tolti di quell'unica caratteristica che è la bellezza.
A scegliere questo corollario di personaggi, un team di persone in stanze chiuse con teste altrettanto chiuse e formate per perpetrare quello che è sempre stato, cioè l'adorazione della figura femminile, lo scrutare ogni suo più piccolo aspetto fisico e l'utilizzarla per rappresentare la gradevolezza, per far acquisire al suo intorno un valore più alto, una sorta di dote in mano agli spettatori, ai lettori e così via.
Non esiste un prodotto che non sia stato pubblicizzato da una donna, in modi più o meno crudi, volenti o nolenti, il corpo della donna è sempre stato lo sbrilluccichio di valore, l'incarnazione del bello e questo non certo per sbaglio, ma perchè chi ha il potere di rappresentare il bello, fin dall'antichità, è sempre stato l'uomo. 
Pittori, scultori, presidenti di rete e così via sono uomini, lo sguardo con cui ci guardiamo è maschile, come poi emerge in modo surreale in alcune situazioni quale appunto il festival della bellezza dove a parlare sono solo uomini, con un'immagine rubata all'artista Maggie Tailor che rappresenta una preadolescente.
Con l'avvento dei social network e della polarizzazione dei protagonisti del mondo della comunicazione, tutti abbiamo potuto accedere alla visibilità, alla notorietà, all'essere parte del mondo dello spettacolo. Un desiderio normale, qualcosa di impensabile fino a pochi decenni fa e per tutta la storia dell'umanità che ci precede.
Ecco però che la bellezza, un concetto astratto effimero, più o meno soggettivo per quanto sempre permeante della vita quotidiana, passa dall'essere elettivo per pochi ad essere elettivo per tanti, scatenando un blackout.



L'immagine di sè sui social network non è protetta, non è a senso unico, la bellezza è ancora radicata come concetto elettivo per essere visibili, soprattutto per la donna e allora la bellezza diventa un'arma per chi come tutti vuole potersi esporre, poter esporre le proprie idee o i propri argomenti, diventa un'arma perchè se per secoli siamo stati abituati a tollerare o amare l'immagine pubblica di pochi per titoli o per bellezza, se questi nuovi personaggi venuti dal basso non sono belli, non se lo meritano e allora vengono letteralmente messi alla berlina.
Si chiede allora di purificare il concetto di bellezza, per non renderlo più quest'arma dolorosa, dargli un senso nuovo, inclusivo.
Qual è allora il problema?
Il problema è che piegare a sé il senso della parola bellezza non eliminerà il concetto stesso di bellezza, non eliminerà la sensazione immediata e astratta di gradevolezza data da qualcosa di effimero eppure comunque reale come l'aspetto fisico, soprattutto in una società di immagine, che sia una persona, un animale, o un dolce.
Anche se ci dicessimo che la bellezza è di tutti, sapremmo distinguere cosa troviamo bello da cosa invece ci appare brutto, non potremmo impedire al nostro cervello di individuarlo, staremmo fingendo tutti insieme di aver abolito la bellezza, una parola che nasce da un concetto e non il contrario.
Il problema non è cambiare il senso della bellezza per dare a tutte noi la possibilità di sentirsi finalmente chiamare belle, di avere finalmente quella parola che sappiamo essere la più alta onorificenza che ci è stata concessa nel mondo pubblico. 
Il problema non è appropriarcene, ma liberarcene.
La bellezza esiste, la vediamo in una statua di Bernini, sappiamo che ci piace perchè è bella, ma non diamo meno valore a Picasso o a Munch, dove non è la bellezza a incollarci alle loro opere, i loro quadri non sono belli nel senso estetico del termine, sono potenti, sono affascinanti, sono dolorosi, interessanti, tantissimi altri termini che li rendono significativi.
Perchè allora noi donne invece di rompere con il passato ed essere trattate come qualcosa che può essere bello o no e su questo valere o no, invece di accontentarci di una parola da far calzare a tutte non ci appropriamo di tutte le altre, come del resto avviene per gli uomini? 
Perchè abbiamo bisogno di continuare ad adattarci a quello sguardo che ci dà senso solo se può definirci belle? 
La bellezza esiste anche al di fuori della sua parola, non riusciremo e non avrebbe nemmeno senso allargarla fino a distruggerla perchè esisterebbe comunque, ma noi siamo molto, molto di più, appropriamoci di tutte le altre parole, rompiamo con l'idea che siamo meritevoli di attenzioni e di non essere insultate o giudicate solo se siamo belle.



E allora ecco il manifesto della bruttezza



Vogliamo il diritto di essere anche brutte senza che questo ci distrugga, ci umili, ci renda ossessive, ci faccia coprire di strati di trucco fino a cambiarci i connotati negandoci il nostro stesso viso, spendendo soldi per trattamenti dolorosi, puntandoci una lente di ingrandimento perenne che ci ha fatto persino evitare esperienze come l'andare al mare o in bici.
Vogliamo poter essere brutte o bruttine o banali di aspetto senza che questo ci tolga valore, senza che ci faccia sentire inutili, inadeguate, degne di derisione, vogliamo un corpo che funzioni, non si stritoli per forza in jeans che bloccano la circolazione, tacchi che storcono le schiene, possa correre quando vuole e viva nel mondo senza costrizioni e dolori pur di farci sentire che valiamo qualcosa.
Vogliamo valere anche senza un patentino di qualità che dice "sei bella, sei salva", vogliamo essere ascoltate anche se non siamo gradevoli all'occhio, se non siamo ammalianti, seducenti, magre, sexy.
Vogliamo non essere perennemente sotto un'occhio attento talmente maniacale da dare nuovi nomi a parti del nostro corpo non conformi come se questo ci definisse.
Vogliamo avere più parole per descriverci ma anche non descriverci affatto, siamo state sezionate, categorizzate, osservate da pittori, scultori, registi, fotografi, siamo stanche di essere rappresentate perchè ogni rappresentazione è un nuovo sguardo maschile con cui scansioniamo noi stesse. 
Vogliamo prendere vita come un pinocchio che si libera del legno e si trasforma in umano.
Vogliamo non essere coraggiose solo perchè ci spogliamo con una 44 o non fingiamo di non avere peli sotto le ascelle, vogliamo il diritto ad essere coraggiose anche senza spogliarci, anche senza la banalità di vivere come siamo.
Invece che essere tutte belle, vogliamo il diritto di essere brutte e fregarcene.

domenica 11 marzo 2018

Dalla xenofobia al razzismo: perchè ora l'Italia è un paese razzista

La migrazione in Italia è diventata uno dei temi più caldi e difficili con cui il paese si sia dovuto confrontare dall'ultimo dopoguerra ad oggi, ha diviso i partiti, schierato le file dei politici, confuso i programmi elettorali, acuito il cambiamento di linguaggio adoperato nei media e alimentato una incredibile varietà di logiche fallaci di pensiero che lasciano ampio spazio alla diffusione di false notizie.
Per questo vorrei ripercorrere alcuni di quelli che sembrano i passaggi fondamentali di un sentimento collettivo che negli ultimi dieci anni (ma anche meno) è passato dall'essere xenofobia a razzismo.
Va detto innanzitutto che l'Italia è storicamente un paese di emigrazione e non di immigrazione, il fenomeno di immigrazione è infatti molto recente, inizia negli anni '60, prosegue negli anni '70-'80 con le migrazioni filippine e sudamericane, ma diventa "visibile" negli anni '90 con gli sbarchi dall'Europa dell'est.

Il fenomeno della emigrazione ha invece caratterizzato da sempre la popolazione italiana, dagli Stati Uniti al Belgio, dall'Australia alla Francia, l'Italia è famosa per la sua diffusione nel mondo, i suoi quartieri, i suoi cibi, il suo gesticolare, ma anche la sua mafia organizzata, e la sua presenza a rete familiare. Emblematico è il caso della Brexit che nasce e si è rafforzata anche a causa delle migrazioni europee, tra cui appunto quella italiana.
L'immigrazione in Italia ha visto diverse assimilazioni o quantomeno convivenze non conflittuali tra cui quella filippina, quella albanese, quella dell'est Europa, quella cinese, quella del continente indiano (Pakistan, India, Bangladesh).
Diverso è invece il caso di due migrazioni, quelle provenienti dall'area del Maghreb, in particolare dal Marocco e quelle provenienti dall'Africa subsahariana.
Quella nord africana, ha acuito la naturale xenofobia presente ad ogni ingente migrazione, in concomitanza con i fatti accaduti a seguito dell'11 settembre 2001, e rinforzata dagli attentati di matrice islamica estremista avvenuti successivamente in Europa a partire dall'attentato alla sede di Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015. La migrazione nord africana è stata erroneamente associata all'immigrazione massiccia e ha innescato la paura del pericolo fisico, introducendo il sospetto che l'immigrazione non solo comportasse questioni legate alla condivisione del lavoro, degli spazi pubblici e di quelli privati (condomini, case popolari), ma comportasse un pericolo per l'incolumità fisica.
Alcune strategie comunicative nel frattempo sono state, volenti o nolenti, utilizzate per rendere accettabile l'immigrazione, in particolare in quanto come fenomeno nuovo non solo difficilmente gestibile dai governi, ma ancora più complesso per l'Italia, in quanto paese di approdo, bloccata dalla legge Bossi-Fini e anche da quelle europee, in particolare l'accordo di Dublino che attribuisce la responsabilità della domanda d'asilo ai paesi di primo accesso. 
In questo meccanismo legislativamente bloccato, la comunicazione che è stata adottata è spesso confluita nell'idea di sensibilizzazione a sentimenti di pietà, da un lato, in particolare da associazioni sul territorio che cercavano di favorire l'incontro, ma anche di creare una solidarietà caritatevole, e da discorsi di tipo economico dall'altro, portati avanti spesso da media e politica, che cercavano di portare alla luce i benefici economici della migrazione, ovvero una forza lavoro giovane in un paese in fase di invecchiamento in grado di garantire le pensioni, una forza lavoro che si adatta più facilmente a lavori che gli italiani si rifiutavano di fare ovvero il tipo di lavoro cosiddetto delle 5 P: Precario, Poco pagato, Pesante, Pericoloso e Penalizzato.

Quella subsahariana è però una migrazione massiccia e difficilmente contenibile nel numero utile di una forza lavoro a basso costo e pretese, ma soprattutto ha un elemento che non è nuovo (basti pensare al velo islamico) ma che è più impattante, ossia è incredibilmente visibile.
E' visibile innanzitutto per la rilevanza mediatica, i cosiddetti barconi, ma anche le rivolte del cibo, ed è visibile in quanto il fenotipo di chi migra dall'Africa subsahariana è immediatamente riconoscibile, completamente diverso da quello italiano e identificabile facilmente, in un unica parola è saliente e soprattutto favorisce un ragionamento per salienza.
Il corpo dei migranti è già vissuto dagli autoctoni come un corpo estraneo, quando anche più evidente e più visibile questo diventa "invadente", e nel caso dell'Italia smaschera una narrazione della migrazione già parzialmente errata ossia il discorso dell'accettazione per pietà.
Il corpo dei migranti subsahariani non risponde all'immaginario che ha permesso di "tollerare" la migrazione, ossia quella di profughi in fuga o (nel caso dei subsahariani) di bambini africani denutriti o in generale a quello di povertà e malnutrizione, e questo è in prima battuta vissuto come un tradimento, perchè evidenzia come uno dei pochi discorsi che rendevano accettabile l'immigrazione (per alcuni) fosse falso o quantomeno lo sia in questo caso.
Per capire quanto questo sia vero, basta osservare le bufale, la pancia della gente, che sono lo specchio di ciò che si pensa ma non si dice finchè non c'è qualcuno a dirlo per noi e quindi a legittimarlo, emblematica è infatti la bufala di Giobbe Covatta a cui sarebbe stata attribuita la paternità di questa frase: "Quando vedo sbarcare questi con ‘sti fisici, capisco che l’Europa non ha capito niente della situazione in Africa."
Per quanto questa sia una bufala, è stata condivisa centinaia di migliaia di volte e addirittura ha avuto due momenti di diffusione, uno nel luglio 2016 e uno nel febbraio 2018 e ovviamente non è la sola di questo tipo.
L'altro elemento che viene a cadere davanti alla massiccia migrazione subsahariana è il concetto di essere umano straniero come "risorsa", ovviamente non è possibile questo tipo di ragionamento perchè funziona solo davanti a una esigua migrazione che occupa precisamente i lavori meno appetibili  e quindi oltre a essere un tipo di discorso fallace in quanto poco utile nel lungo periodo, è anche un discorso enormemente sbagliato, perchè ha aperto le porte alla possibilità di rendere accettabili esseri umani stranieri solo se utili e in qualche modo sottomessi.
Sottomessi perchè produttivi a vantaggio degli autoctoni ma con condizioni di vita peggiori, i loro corpi sono stati resi visivamente accettabili solo in funzione di una loro produttività e utilità o estrema debolezza e remissività.
Riassumendo i modelli comunicativi che sono stati utilizzati, emerge che l'immigrato in Italia è stato considerato accettabile fintanto che era debole e bisognoso o utile e sottomesso, in ogni caso in una posizione di completo svantaggio o di produzione di utilità, è stato considerato in pratica, alla stregua degli animali ossia carino e da accudire o utile e da lavoro, altrimenti non un essere vivente ma un costo inutile e una scomodità a cui non siamo tenuti a sottostare. 
Ne è stata invalidata l'umanità alla base.
La migrazione subsahariana in particolare più di altre immigrazioni non risponde visivamente all'idea di debolezza, e qui la salienza gioca un ruolo fondamentale, perchè il nostro cervello si bassa in larga misura sugli elementi che percepisce, in particolare quelli visivi, inoltre essa non corrisponde all'idea di utile o sottomesso perchè abbiamo davanti molte persone che migrano ma non trovano lavoro e finiscono in circuiti poco "utili" agli autoctoni quali i narcotraffici, la vendita ambulante e la questua.
Questo si rende evidente dal momento in cui anche i sindaci invece di concepire la questua come un elemento di sussistenza lo asserisce tra quelli del degrado (ad esempio Genova e Varese),
Cosa diventa allora il corpo dell'immigrato subsahariano? 
Diventa elemento di pericolo perchè non è neutro in quanto visibile, ma non è debole e non è utile. Diventa un elemento di troppo, che in quanto riconoscibile assume una connotazione che non è più legata alla xenofobia cioè alla paura dello straniero, ma a quella del razzismo.


Anche in questo caso le bufale rendono questa problematicità evidente, ad esempio su voxnews, noto sito di bufale, viene riportato un articolo che indicherebbe come 9 su 10 spacciatori siano neri, a detta di un magistrato. Ci vuole poco a capire che questa è una bufala perchè nessun magistrato farebbe una statistica in base al colore della pelle, ma è evidentemente il modo in cui ragionano invece le persone che quella bufala la condividono. 
E qui arriviamo ai fatti che stabiliscono una linea storica di confine sulla presa di coscienza dell'Italia come paese in parte razzista: Luca Traini.
In un paese con alto tasso di femminicidi, si è scelto di dedicare la massima attenzione mediatica a un presunto omicidio compiuto da un nigeriano a cui ne è seguito un altro accertato compiuto da un tranviere milanese che invece è passato quasi inosservato. Al primo presunto omicidio è seguito poi l'atto di Luca Traini, ossia "vendicare" la ragazza sparando a uomini e donne dalla pelle nera.
La reazione politica e della popolazione è stata così blanda che a Macerata, le persone si sono sentite spaventate dai protestanti in manifestazione e la Lega, di cui faceva parte proprio Traini e che è stata accusata da Amnesty di propagare odio in particolare razziale, ha conseguito un risultato straordinario del 21% alle elezioni politiche.
Pochi giorni fa, a Firenze un uomo, Pirrone ha ucciso un altro uomo, Idy Diene perchè a suo dire voleva uccidersi ma poi ci ha ripensato e quindi per andare in galera, ha pensato di sparare 6 colpi non sul primo uomo che passava (un uomo italiano di famiglia) ma sul secondo, cioè un venditore ambulante di colore.
A scendere in piazza per una situazione così assurdamente drammatica e trattata come un semplice fatto di cronaca è stata la comunità senegalese di Firenze, insieme, fortunatamente, a degli italiani.
Durante questa manifestazione sono state rotte due fioriere, e a questo il sindaco ha risposto con un tweet, parlando di violenza non legittimabile.
A questo punto è il caso di accorgersi che la violenza in quanto condannata in egual misura è anche avvalorata in egual misura a due episodi, uno è quello della morte di un uomo e l'altro è quello della "morte" di due fioriere.
Questo non è solo un fatto assurdo, è un fatto che diventa l'emersione di un pensiero diffuso, per capirlo è utile allora riprendere il gesto di Pirrone e riflettere su cosa significa averlo superato come un semplice gesto di un uomo "stanco": Pirrone non era un uomo stanco ma ha ha fatto un preciso calcolo, ha stabilito chi meritasse di vivere e chi no, e ha stabilito che, nonostante lui fosse il primo a desiderare la morte, la propria vita valesse abbastanza da essere mantenuta, ha incontrato un altro uomo e ha stabilito che la sua vita valesse abbastanza da meritare di vivere, infine ha incontrato Idy Diene e solo guardandolo ha stabilito che la sua vita potesse essere sacrificabile in funzione di un proprio obiettivo personale per di più modificato nel corso della giornata.
Un sindaco ha stabilito che la morte di un uomo (la terza nella comunità senegalese per razzismo a Firenze) non potesse giustificare la fine accidentale di due fioriere.
La reazione davanti a questi fatti è stata troppo debole e completamente errata.
E' questo che ci dice che l'Italia è un paese razzista, perchè davanti all'attentato a Charlie Hebdo ci fu il silenzio, il dolore, la compartecipazione nazionale, ci si sentiva vicini alle vittime perchè simili, mentre davanti ai tentati omicidi fatti da Traini ci si è sentiti lontani dalle vittime, ci si è sentiti più vicini alla ragazza dipendente dalla droga uccisa o morta per overdose, ci si è sentiti lontani da Idy Diene ma non ci si è sentiti altrettanto lontani da Luca Traini perchè lo si è accomunato alla "gente stanca", Traini è stato pericolosamente equiparato alla gente stanca, ossia agli italiani.
Le reazioni a questi fatti, hanno dimostrato che l'Italia purtroppo valuta diversamente la vita di chi è nero da chi è bianco, che a prescindere da chi è vittima e carnefice si sente più vicina a chi è bianco e questo significa che l'Italia purtroppo è diventata a pieno titolo un paese razzista.

venerdì 2 marzo 2018

La violenza di non essere credute

Cosa hanno in comune le studentesse americane che hanno accusato i carabinieri di stupro, il caso di Federico Barakat e quello dell'omicidio delle due figlie e del ferimento grave della moglie da parte del carabiniere di Cisterna di Latina?
Le donne, certo, gli uomini ma non solo.
Quello che hanno davvero in comune questi tre casi è lampante eppure arginato come un fatto un po' triste, indignante ma bypassato dalla violenza del colpo finale, ridotto al senno di poi.
Quello che hanno davvero in comune questi tre casi è l'assoluta mancanza di credibilità che è stata data alle donne nel momento in cui a smentirle avevano il parere di un uomo, nonostante tutti i fatti e le evidenze fossero a loro favore.
Due di questi tre casi sono ancora in fase di discussione, un raptus? Un problema psichiatrico?
Ci si sofferma sulle cause, ci si sofferma sull'uomo, su cosa l'abbia "sguinzagliato", cosa abbia creato quest'idea malata, sull'idea di eccezionalità, di deviato e non ci si sofferma sul contesto, sul normale, il quotidiano. Nessuna delle persone coinvolte era sola o isolata, nessuna di loro era la vittima silenziosa, la donna inerme. Eppure quando sentiamo queste storie tutto porta a credere che in fondo lo fossero, che non ci fosse realmente nessuna distanza, nessun ostacolo tra loro e l'aggressore, in uno la madre non era stata ascoltata alla richiesta di tenere il figlio lontano dal padre perchè pericoloso, non era stata considerata nonostante avesse paura anche il figlio, nell'altro non era stata ascoltata né aiutata, eppure si era rivolta a tutti, eppure la paura era verso una persona armata che aveva avuto episodi in pubblico, chiamava spesso in toni preoccupanti, aveva manifestato episodi di violenza e paranoia, ma soprattutto aveva una pistola.
Il terzo caso invece è addirittura tutto basato unicamente sulla credibilità, due ragazze denunciano uno stupro, i carabinieri che accusano dicono che non è vero, è la loro parola contro quella dei carabinieri? 
Non proprio.
In effetti ci sono anomalie che già dovrebbero dare a intendere che tra le due parti in causa, una non sia molto attendibile, infatti i carabinieri non dovevano pattugliare la zona del locale, ma si sono stanziati e non l'hanno riportato come sarebbe d'obbligo, e non hanno denunciato il fatto di far salire in macchina le due ragazze e anche questo nel loro mestiere è una grave negligenza. Eppure, a essere interrogate 12 ore con domande assolutamente inappropriate e inutili al caso, sono state le due ragazze, e sono state screditate anche sui social, insultate, vessate, accusate di stare mentendo per avere i soldi di un'assicurazione che a noi appare strana ma in U.S.A. è semplicemente lo standard. Cioè si è preferito credere che due ragazze in un paese straniero, accusassero due uomini delle forze dell'ordine di stupro mentre erano ubriache montando un caso prevedibilmente internazionale e una causa legale prevedibilmente lunga e faticosa per ottenere i soldi di un'assicurazione standard, piuttosto che credere che forse due carabinieri che hanno omesso i loro spostamenti e le loro azioni in servizio non abbiano abusato del proprio potere.
Come altre due ragazze: Greta e Vanessa, che sono state insultate e screditate persino dai politici, non si perdonava loro, ragazze italiane, di aver scelto di andare in Siria come volontarie, ad aiutare in nome una causa considerata giusta, ma soprattutto non si credeva che potessero essere andate per semplice spirito umanitario, le motivazioni che sono state attribuite sono andate dalle accuse di esibizionismo a quelle di lussuria, i loro rapporti con i rapitori sono stati scritti e riscritti a causa di bufale e illazioni un numero esagerato di volte.
Persino un noto politico ha retwittato una bufala in merito, senza nemmeno chiedersi se questo fosse vero, ha subito adottato e condiviso una versione dei fatti dannosa e assurda perchè nel suo cervello era semplicemente più credibile del contrario, non ha avuto nessun dubbio.
E Asia Argento? Dopo il caso Weinstein in Italia si è scelto di aggredire lei invece di chi aveva compiuto un abuso di potere, si è scelto di accusarla di non avere, in fondo, abbastanza motivazioni per denunciare Weinstein, non era credibile che lei l'avesse detto solo ora, (nonostante anche tutte le altre celebrità siano emerse con la propria storia solo dopo la prova di una registrazione) non era credibile che fosse un fatto traumatico se aveva preferito non denunciare e portare avanti la carriera, Asia Argento non era credibile e andava punita con gli insulti perchè rovinava un uomo.
Emblematica è la dichiarazione della modella Ambra Battilana proprio in merito al caso Weinstein, "Ho registrato perchè altrimenti non mi avrebbe creduto nessuno".
Così le madri, le mogli, le ragazze e i figli non sono vittime senza voce, ce l'hanno la voce, e anche forte, e hanno perseveranza e molto più coraggio di quanto si attribuisca loro nel nostro immaginario collettivo che le relega a vittime che subiscono in silenzio, solo che non vengono ascoltate, non vengono prese sul serio, le donne si sa che sono esagerate.
Perchè Kim Cambpell, ex primo ministro del Canada deve avvertire le donne che portare vestiti con le spalline possa cambiare la credibilità? Perchè anche se può non piacere e a me per prima non piace, è vero.
Perchè moda e politica sono considerati due mondi a sé e il primo è associato alle donne, perchè che sia la Boschi o la Boldrini quello che interessa per primo non è cosa abbiano da dire ma come sono vestite, se sono belle o brutte e in funzione di questo spesso vengono attaccate politicamente, normalmente con l'assioma brutta- frustrata/ senza sesso/ che non vale la pena ascoltare oppure bella - stupida/arrivista/incapace/solo utile al sesso.
In ogni caso la donna non è credibile.
Celebre è il caso dello stupro con jeans, dove a essere più credibile della donna sia stato persino un indumento.
Lo stupro è emblematico della credibilità, perchè dimostrare uno stupro significa dimostrare che non ci fosse consenso, è la parola della vittima contro quella dello stupratore, lì entra in gioco la credibilità della donna che è labile, e negli stupri questo è lampante: le donne in fondo lo vogliono, quando ti dicono no significa sì, in realtà le è piaciuto, è che non sanno bene cosa vogliono, è che magari lo volevano e poi se ne sono pentite, è che in fondo lo volevano e quindi non si sono opposte davvero, perchè non sono scappate? Perchè non hanno reagito abbastanza? Perchè non ci sono ferite? E poi era una che aveva una vita sessuale molto attiva, era bisessuale, non aveva un fidanzato. 
Queste sono solo alcune delle affermazioni che sono emersi finora dalle fogne di pensieri reconditi e sottintesi o palesi quando avvengono stupri compiuti da italiani, basta guardare i commenti sotto qualsiasi notizia di stupro per trovare di questi pensieri messi per iscritto con tanto di nome e cognome, che siano uomini o donne.
Non sono solo le tragedie a dirci che le donne non sono credibili, sono gli atti di tutti i giorni, sono l'attribuire il ruolo di maggior prestigio, tra uomo e donna, sempre all'uomo nonostante segnali contrari, sono lo stringere la mano prima agli uomini in un incontro formale, il considerare come valide prima le idee maschili anche quando ad avere più esperienza è una donna, sono il mansplaining, le battute sul guidare, sulla capacità di capire qualsiasi cosa che non siano vestiti e scarpe e così via.
La violenza sarebbe evitabile o quantomeno arginabile se chi è intorno alle donne e ai loro figli che si sentono in pericolo le prendesse davvero sul serio anche quando dall'altra parte c'è un uomo che dice che non ce n'è motivo (ma tutti i segni portano a credere che invece ce ne sia eccome).

mercoledì 28 febbraio 2018

Elezioni Italiane 4 marzo 2018

Lo ammetto queste elezioni mi hanno lasciato senza parole per molti giorni, tra nostalgici di un fascismo immaginario, razzismo, arroganza, violenza e fake news, non sono sinceramente riuscito ad elaborare qualcosa da dire che non fosse trito, spaventato o frutto del momento.



In queste ultime settimane, ho avuto discussioni su discussioni, in particolare trovandomi a cercare di smontare le fake news nei contatti che avevo tra gli amici o esterni quando queste servivano ad argomentare un discorso politico, almeno, mi dicevo, faccio quel piccolo lavoro che anche se mi consacra a rompipalle. Perchè? Perchè magari è utile, magari anche per sbaglio uno poi ripensa a come ci si informa, nel piccolo, nel microscopico, nella goccia nell'oceano.
Ma l'oceano non è in fondo un insieme di gocce?
Comunque è stato a dir poco sconfortante.
La risposta davanti alla scoperta di fake da parte di chi le aveva condivise è stata principalmente:
"Rappresenta comunque quello che penso quindi tengo il post" - e intanto aumentavano le condivisioni... oppure: "Non è vero ma potrebbe succedere".
In entrambi i casi la risposta è no, non è accettabile.
Non è accettabile pubblicare contenuti falsi perchè non importa se potrebbe succedere o se quello è anche il tuo pensiero, sono falsi. Questo vuol dire che non sono successi, che senza il fatto resta solo il tuo pensiero ma che a quanto pare quel pensiero non riesce a reggersi da solo e ha bisogno di menzogne per essere trasmesso.
Non è accettabile perché le bufale nascono con precisi scopi, ognuno di questi contenuti porta con sé il proprio obiettivo che il più delle volte è indignare qualcuno tramite il titolo, far cliccare sul link, far guadagnare soldi tramite la pubblicità presente sul sito e magari far aumentare un certo tipo di opinione, un tipo di opinione che ha bisogno di queste false notizie.
Ma le bufale, soprattutto di matrice politico/sociale, non sono tutte uguali né rappresentano tutte le idee politiche, bensì ne rappresentano solo alcune, ve ne sarete accorti, sono  quelle più semplici, quelle di pancia, quelle che potrebbero (ma non dovrebbero) farci reagire immediatamente con un click e una condivisione, perchè appunto l'obiettivo non è altro che farle diffondere il più largamente e il più velocemente possibile.
Per questo la bufala è pericolosa, non importa che ne condividiate il pensiero alla base, se è così scrivetelo a nome vostro, prendetevi la responsabilità anche di ricevere opposizioni invece di coprirvi vigliaccamente dietro un fatto inesistente o un personaggio noto. 
La bufala non solo diffonde il falso ma alimenta una modalità di pensiero che spegne la capacità di verificare e argomentare, di andare oltre la sensazione di pancia, ma sopratutto oltre quella piccola soddisfazione che dice al nostro stomaco "ecco quello che temevo allora è vero, ho ragione."
E lì, in quel fomento entra una politica che ti rinforza, ti dice che sì hai proprio ragione, che è proprio così semplice, che chi è dissidente è un rompicoglioni, che all'ingiustizia non ci sono argomenti e tu, che ti senti trattato ingiustamente, puoi non averne. Perchè la gente (chi è la gente poi?) è stanca, e allora si sa che da stanchi si pensa poco e male.


Ecco di questi due processi, le bufale e il rinforzo all'insoddisfazione a scapito di argomenti, non bisogna fidarsi, mai. 
No no proprio mai, qualsiasi sia il partito, la fazione o il nome.
Perchè realtà e politica non sono semplici, non lo sono mai e alla mancanza di argomenti non ci sono giustificazioni, alla menzogna non ci sono giustificazioni, ce lo siamo dimenticati a forza di essere rinforzati ma è ancora così.
Chi vi semplifica la realtà in questo modo vi sta mentendo, so quanto il nostro cervello avrebbe bisogno di rilassarsi godersi i sentimenti, anche negativi e smetterla per un po' di controllarli e tenerli a bada, smettere di pensare e dover trovare sempre argomenti validi per sostenerli, chiudere sé stessi in principi, dover distinguere tra salienza e tendenza reale, la verifica delle notizie. So quanto sia difficile dare torto a sé stessi soprattutto quando le cose non vanno bene, è dura, è una fatica colossale, mentre è davvero bello poter semplificare, comprendere finalmente qualcosa, sperare in una soluzione semplice, incolpare qualcuno e riversarci sopra tutte le proprie frustrazioni, è molto più facile ed è anche una gran soddisfazione, però è sbagliato lo stesso, le cose andranno solo peggio. Non viviamo in una società fatta di intuito e reazioni a pelle perchè, anche se a tutti piacerebbe essere speciali, così speciali da azzeccare la reazione giusta e la verità al primo colpo, questo è quantomeno improbabile (no voi non siete l'eccezione e nemmeno io) se non impossibile quando si parla di tematiche a variabili multiple come la politica, la società e la migrazione.
Ma almeno due cose si possono fare, soprattutto in vista di queste elezioni politiche, in vista del 4 marzo 2018: accettare il dubbio come elemento giusto, e accettare che la società e la politica non sono semplici, ma complesse.


Dubbio
Lo so che il dubbio ci fa sentire deboli, ma il dubbio davanti al nuovo è normale, badate non la diffidenza ma il dubbio. Dubbio vuol dire sapere di non avere tutti gli strumenti per avere in tasca la verità assoluta, significa non accettare a priori qualcosa che sembra giusto e alimenta i nostri sentimenti peggiori, quelli che ci fanno bruciare un po' il diaframma, ci danno quella scossa di energia e il sangue al cervello. 
Mettete il dubbio prima di ogni azione quando qualcuno vi promette un io sopra tutti, o vi indigna, o vi semplifica la realtà con soluzioni banali e semplici a temi complessi. Ma soprattutto ponetevi il dubbio quando qualcuno vi da ragione, perchè dar ragione è il modo migliore per prendere dalla propria parte qualcuno, che sia un media o un politico, mettete in dubbio, informatevi da fonti attendibili (molte non lo sono).
Bisogna prendersi la responsabilità di ciò che si dice, di ciò che si diffonde, ma anche di ciò in cui si crede. Non importa se state pensando esattamente quello che viene detto tramite una notizia falsa (davvero non vi viene nessun dubbio sul fatto che a questo pensiero serva una notizia falsa per essere accettato e diffuso?), se pensate qualcosa ditelo voi, un vostro pensiero è una vostra responsabilità, altrimenti forse quel pensiero che condividete ma non dite non è tanto accettabile; se non siete in grado di portarlo avanti in prima persona e senza artifizi ponetevi dei dubbi, ci hanno fatto credere di essere stanchi e di poterci comportare come dei bambini che sbraitano e tirano oggetti e invece siamo abbastanza forti da sostenere l'incertezza del nostro pensiero, affrontiamolo.
Ebbene sì è una responsabilità singola, non importa quanto ci vadano male le cose, è una responsabilità verso sé stessi e gli altri e i posteri, non siamo soli, non c'è scampo per fortuna.

Accettare la complessità
La realtà è complessa, punto, non piace a nessuno. Le tasse che aumentano non sono proporzionali alla migrazione, il vaccino non esiste solo in funzione di aziende cattive, l'euro non è solo una moneta da adottare o meno ma un insieme di trattati codipendenti e così via. Fa paura?
Un po', per questo però c'è un rimedio, ed è l'etica.
L'etica è sia un insieme di norme e di valori che regolano il comportamento dell'uomo in relazione agli altri sia un criterio che permette all'uomo di giudicare i comportamenti, propri e altrui, rispetto al bene e al male; è differente dalla morale perchè l'etica ragiona sulle motivazioni che portano ai principi etici, la morale è in qualche modo un risultato di questo ragionamento. 
L'ho semplificata molto.
Certo tanti potrebbero pensare che è un ragionamento buonista, ma sinceramente non mi interessa discuterne più, se tutti fossimo "buonisti" termine promulgato da chi voleva alimentare la vostra pancia e prendersi il vostro voto con un discorso semplice in cambio della vostra rabbia cieca e della vostra stanchezza, in realtà il mondo sarebbe un paese migliore per tutti. Sarebbe veramente meglio infatti se le persone invece di cercare di non rischiare di dare via la propria bontà per errore e centellinarla su un ragionamento di costi - benefici, fossero sempre "buone", immaginate se la vostra vita fosse piena di buonisti che invece di approfittarsi della vostra debolezza, invece di intascarsi dei soldi che non gli sono dovuti, invece di non pagarvi gli straordinari perchè non gli conviene, non richiamarvi perchè è una gentilezza inutile, invece di calcolarsi quanto gli conviene essere d'aiuto, pensate quanto sarebbe meglio se fossero tutti dei poveri buonisti.  
La parola buonismo usata come è allo stato attuale, è un modo per giustificare il proprio diventare carnefici, è il giustificare il proprio odio, trovargli uno spazio forzato dove non dovrebbe averne, in una società che in quanto democrazia basata su principi specifici
Ma è qui l'errore, ed è qui anche la morale, l'odio sui deboli non si può proprio giustificare, si può ribaltare il dizionario mille volte, inserire neologismi, ma non si può fare, non si può giustificare l'odio generalizzato, nessuno, nemmeno se accusa gli altri di buonismo, nemmeno se è stanco da non stare in piedi si può sentire in diritto di essere un carnefice, e non importa quanto vi sentiate frustrati dal mondo, se diventate carnefici lo siete e basta, non c'è argomento che tenga, se propagate odio, quello continuerà a circolare anche senza il vostro controllo, avrà forme imprevedibili e socialmente ne siete responsabili.. 


Quello che sta avvenendo in Italia, tra falsità, salienza, fomento e rinforzo, incompetenza e confusione è quello che è già successo in Germania prima della seconda guerra mondiale, no non il nazismo con le sue divise e i suoi stemmi (per quanto ci siano tanti simpatizzanti), qualcosa di più subdolo, quell'impalpabile che sta facendo rizzare i capelli al mondo sulle elezioni italiane al punto da dover parlare nuovamente di antifascismo come elemento necessario e non solo alla base della Costituzione Italiana, qualcosa che ancora fa vergognare i tedeschi e non è un uomo coi baffetti ma è la caduta morale della popolazione.
Quello è il macigno che ha cambiato la storia dell'Europa, non un uomo, non i simboli ma la caduta morale del popolo, di chi era pronto a sostenere qualsiasi affermazione gli promettesse di semplificare la realtà a prescindere, qualsiasi partito sostenesse di migliorare la vita a prescindere da chi ne avesse pagato le conseguenze, a prescindere da quali fossero le conseguenze.
E' quel a prescindere che è una caduta morale, quel pensiero per cui in nome del sentirsi calpestati dalla vita, dai politici, dal capo, dalla donna o dall'uomo che ci hanno lasciato, dalle tasse, ci si sente in diritto di calpestare qualcun altro o negargli diritti fondamentali.
Quello  è sbagliato, punto. Pensare che in Italia, si possa sparare per tre ore a chi ha la pelle nera perchè "la gente è stanca", quello è un sonoro a prescindere che dovrebbe farvi venire i brividi persino se un po', in fondo all'anima, qualcosa spinge per dire che la gente è davvero stanca in fondo. Si può essere stanchi ma non c'è giustificazione nello sparare ad innocenti, non ce n'è nemmeno ad odiare degli innocenti, o a chi ha bisogno e con quel bisogno concorre con noi ai nostri bisogni.
Sembra assurdo doverlo scrivere nel 2018 ma nessuna stanchezza può giustificare violenza, odio e privazione, niente giustifica i carnefici.
L'io sopra tutti in una società è una bufala, è la più grande bufala che vi possano raccontare, l'io sopra tutti esiste solo in dittatura e fidatevi quell'io non siete voi e nemmeno io, dittatura è uno su tutti gli altri, 1 su 60 milioni, non è una grande probabilità che quell'io siate voi o io. 
A queste elezioni 2018 allora andateci sapendo che non importa quanto siate stanchi, la realtà è complessa e l'opinione deve essere basata su argomenti solidi, qualsiasi siano, devono essere veri, sensati e dimostrabili, perchè l'opinione è una responsabilità.

Sdrammatizzando (ma nemmeno molto) l discorso più sensato e drammaticamente lucido sulle elezioni italiane (o quantomeno con il miglior connubio godibilità/senso) è stato quello di John Oliver, che è un comico britannico, e che con argomentazioni valide ha definito Berlusconi tragicomico, Di Maio incompetente, Renzi fallimentare e Salvini velenoso e tossico e ha puntato lo sguardo europeo sulle preoccupanti elezioni del nostro paese.
Guardarlo accettando che molto probabilmente non ha tutti i torti, potrebbe essere un buono modo di rivedere queste elezioni e i suoi terrificanti candidati, ricordandosi che questi nomi non sono le uniche opzioni.

mercoledì 6 dicembre 2017

Capire la gentilezza e le sue deformità

Oggi parliamo della gentilezza.
Innanzitutto cos'è la gentilezza? 

Dalla Treccani:

gentilézza s. f. [der. di gentile1]. – 
1. ant. Nobiltà, sia ereditaria sia (secondo l’interpretazione degli stilnovisti) acquisita con l’esercizio della virtù e con l’elevatezza dei sentimenti: prende amore in gloco (Guinizzelli). 
2. a. La qualità propria di chi è gentile, nei varî sign. dell’aggettivo: gd’aspettogdi modi; e in senso morale: gd’animodi costumidi sentimenti. Più com., amabilità, garbo, cortesia nel trattare con altri: persona di squisita g.; la sua innata g.; è di una graraincomparabileper g., formula di cortesia nel chiedere un favore, un’informazione e sim. 
b. Atto, espressione, modi gentili: fare una g., usare molte g., colmare di gentilezzegli disse delle g.; trattareaccogliere con gran gentilezza. Spesso iron.: fammi la gdi levarti dai piedim’ha dato tutti questi epiteti e m’ha detto altre simili g. (cioè insolenze, impertinenze).


Ma la gentilezza è prima di tutto uno strumento per aprire e gestire un canale di relazione e comunicazione con l'Altro, soprattutto con l'estraneo o il conoscente, perchè la gentilezza si compone al contempo di distanza e amabilità.
All'interno di una società delle comunicazioni multiple,  strutturare un comportamento di relazione sulla gentilezza può essere qualcosa di sottovalutato ma assolutamente rivoluzionario.
Le comunicazioni che creiamo sono estremamente differenziate tra loro, sia per modalità, ovvero possono essere fisiche con presenza e linguaggio non verbale, solo verbali, scritte o per immagini.
Ma sono anche differenziate nel tempo, da quelle a tempo zero come una conversazione telefonica o in presenza a quelle dilazionate, come le mail, i messaggi vocali di whatsapp.
Infine cambiano anche in base all'interlocutore, una telefonata è diversa da una mail di gruppo, da un post sui social network e infine dai commenti ad un post.


Nei rapporti commerciali, la gentilezza è la chiave per una transazione vincente, sono gentili infatti, i  lavoratori dei call center, sono gentili i commessi, sono gentili i rapporti formali via mail tra i diversi uffici (almeno all'inizio o nella formula commerciale della mail).
Ma la gentilezza non solo stabilisce un approccio, è infatti anche un chiaro strumento per stabilire la disparità di potere, infatti il commesso è tenuto ad essere gentile, il cliente no, e anche quando non lo è, può comunque continuare a pretendere gentilezza dal commesso.
Il capo di un'azienda merita gentilezza e rispetto ma non è tenuto a restituire lo stesso tipo di relazione e più il dipendente è in una posizione di debolezza, meno saranno le conseguenze per il capo.
La gentilezza viene quindi distorta in quanto resa coatta in una relazione e una comunicazione dove non c'è una risposta reciproca, è quindi strumento di relazione, ma come espressione di potere.

La gentilezza con cui veniamo a contatto più spesso, quella commerciale, è quella invece che ha un secondo fine, un obiettivo da ottenere, a differenza di quella come forma di ricatto come nel caso dei rapporti lavorativi fortemente impari questa è una forma di manipolazione come nel caso di una proposta di vendita
Possiamo quindi già stabilire due forme di deformazione di utilizzo:

  •  è  ricatto quando la non gentilezza comporta una sanzione, (perdita del lavoro) 
  • è manipolazione quando la sua assenza non comporta uno specifico vantaggio
Nella sua massima espressione di devianza, la gentilezza è utilizzata per compiere un danno, abbassando le difese dell'Altro, è il caso dei truffatori, e dei bugiardi.

Questo succede perchè la gentilezza è potente, è in grado di abbassare le difese e farci acquistare più volentieri, fidare più facilmente, esattamente come la bellezza, la gentilezza è in grado di farci sentire al sicuro, di farci stare bene.
Se la gentilezza di ricatto, usata da chi è in posizione di debolezza è uno strumento per non ottenere una sanzione, e la troviamo dove vi è una gerarchia netta e quindi in pochi, chiari rapporti, la gentilezza di manipolazione, che potremmo chiamare commerciale, è presente intorno a noi polverizzata in moltissimi ambiti e comunicazioni. Ha infatti talmente tanto pervaso il nostro habitat in un modo perverso da aver generalizzato le sue componenti a tutto il concetto di gentilezza rendendola sospetta.
Si tratta di una gentilezza impastata e confusa con il marketing che, essendo utilizzata per ottenere qualcosa in cambio, rende il soggetto ricevente, l'Altro, un bersaglio (letteralmente un target) e quindi in situazione di debolezza, perchè deve costantemente proteggersi dall'abbassare la propria difesa con il rischio di effettuare azioni che non avrebbe voluto compiere (come un acquisto non programmato che punta sul piacere ma rischia di essere un problema economico).
Chi riceve costantemente questa forma di debolezza, per proteggersi deve sistematicamente porre una minore fiducia nei rapporti.

Svalutando una modalità di relazione così importante come la gentilezza, due diventano le conseguenze più evidenti:
  1. la prima è che ora chi parla e scrive in modo ironico, acido, aggressivo, visibilmente offensivo, finisce con l'essere associato all'onestà, in quanto privo di quel codice di comportamento che noi abbiamo imparato ad associare alla truffa, alla menzogna e al secondo fine. Di conseguenza la gentilezza può essere associata all'essere stupidi, alla fiducia malriposta, è lo stesso modus operandi con cui si è arrivati all'abuso del termine "buonismo", che da modalità fallace di interazione con gli avversari è diventato associabile a qualsiasi azione o comportamento che richieda un sacrificio di risorse senza ottenere in cambio un vantaggio. Il problema non è l'atto quindi, ma il cedimento di risorse, che viene dissociato dal motivo per cui lo si compie, ma associato allo spreco e alla fiducia malriposta in chi lo riceverà.
  2. la seconda è che quella gentilezza manipolatoria che è tipicamente commerciale, non si è solo fermata ad una cortese formalità, ma si è evoluta e si sta evolvendo sempre più in una forma che non è più solo di gentilezza e quindi di distanza ma inizia ad assumere la forma amicale, confidenziale, e ora abbiamo account social di aziende che "parlano" come se fossero i nostri migliori amici, ma più gentili, mutando ulteriormente la gentilezza come strumento comunicativo in intimità, quindi meno formale, più diretta ma sempre amabile.
La gentilezza, quella vera, è quella senza secondi fini, se non quello di sentirsi bene per aver fatto sentir bene qualcun altro, un piccolo egoismo che possiamo davvero permetterci.
La gentilezza è quell'atto che non solo stabilisce una relazione di rispetto e richiede lo stesso trattamento ma può generare anche gratitudine, un altro sentimento molto difficile ed estremamente potente che nasce appunto da un primo gesto di dono, spontaneo, gratuito e apparentemente immotivato. Può essere il far sedere una persona sull'autobus perchè è anziana ma anche per un motivo meno legato all'obbligo sociale, può essere far sedere una persona che è visibilmente molto più stanca di noi.

Allora la gentilezza, è anche dono e in una forma spontanea di questo tipo, matura anche un'altra componente che è prettamente di natura sociale oltre alla distanza e all'amabilità, quella dell'attenzione.

Attenzione a chi abbiamo di fronte, alle dinamiche che lo coinvolgono, ai sentimenti e alla situazione di chi è al di fuori di noi e del nostro mondo e del nostro punto di vista, dei nostri problemi e delle nostre gratificazioni, della nostra sensibilità.

Come si forma la concezione di gentilezza? Fin da piccoli siamo stati abituati alla gentilezza nei confronti di tutti ma in particolare di chi poteva esercitare un potere su di noi, come strumento di protezione, le maestre,  gli adulti estranei, ma anche come forma di rispetto e cura come la gentilezza verso un bambino con problemi familiari o le persone più anziane.
La seconda è la modalità che include l'attenzione, ma la prima è la gentilezza come merce di scambio per non rischiare di ottenere qualcosa di spiacevole.

La funzione della gentilezza è chiaramente qualcosa di molteplice e per non confondersi bisogna ricordare che ha comunque una funzione primaria che è quella di aprire un canale di relazione e comunicazione che parta con un piede giusto, diventa molto meno faticoso e molto più semplice sopravvivere alle dinamiche tortuose e sofferenti della gentilezza, se si tiene a mente questo concetto, anche perchè permette di mantenere un rispetto non soltanto per l'Altro, verso cui stiamo aprendo quel canale, ma anche per noi stessi, se la risposta è aggressiva, sgarbata, o offensiva, la gentilezza non ha più senso e allora sappiamo che è qualcosaltro.

Capire questo concetto ci permette anche di smascherare le tattiche di comunicazione volte a manipolarci, farci indignare, farci acquistare, la gentilezza non ha un secondo fine, in risposta a un comportamento sgarbato e protratta rischia di essere una forzatura manipolatoria o una disparità di potere, e quando non è il primo modo per aprire un dialogo, chiediamoci perchè.

La gentilezza permette di creare spazi di discussione reale, non basati sul codice di linguaggio ma sul contenuto perchè stabilisce una base di rispetto reciproca da cui partire, consente di trarre gratificazione dalla felicità altrui, e soprattutto di ridurre la distanza tra forza e debolezza, perchè diciamocelo, essere deboli, malati, stanchi, vecchi, immigrati, stressati, usurpati, sfruttati, tocca a tutti in un momento o l'altro, per questo conviene creare circuiti virtuosi in ogni possibile occasione in cui si è i forti.