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domenica 5 febbraio 2017

Imparare dai migliori (dei peggiori) - Neoliberisti, Settore pubblico e Sociale

Leggendo l'articolo che parla di una nuova iniziativa della polizia postale contro il cyberbullismo, qualche notizia più in giù di una Marine Le Pen agguerrita contro Nato ed Europa, in linea con una chiusura sul piano cooperativo e umanitario che sta investendo l'Europa, mi è sembrato necessario affrontare il tema di come il settore pubblico (italiano) si stia rapportando ai fenomeni sociali.



Da Marine Le Pen è facile collegare, l'altrettanto antiumanista e mitologico Donald Trump, che sembra un treno in deragliamento di impopolarità sociale, ma che, come sostengo da quando è stato eletto, e come conferma tristemente il sindaco di Vagli che sta investendo 80 mila euro per una statua al neo presidente come simbolo della coerenza politica, Trump sta solo facendo ciò che ha promesso.

Infatti Trump è esattamente ciò che è sempre stato, un neoliberista, un capitalista che ha come priorità la crescita dell'economia e delle imprese, e dell'America come ideologia nazionalistica, e infatti sta facendo il più possibile l'interesse delle imprese americane.

Priorità che prevalgono su tutto, dalla vita umana esterna all'America, alle donne (considerate da sempre parte minoritaria e scomoda del mondo del capitalismo che si basa su un ritmo di lavoro specifico, una dedizione ad esso totale e quindi diciamocelo, ha bisogno della maternità per produrre figli della nazione e deve crescerli senza togliere tempo agli uomini che non hanno legami biologici necessari, quali l'allattamento).

Mi incuriosisce sempre molto, vedere quello che i comuni e gli stati fanno per le imprese in ottica neoliberista, cioè favoriscono il loro accesso alle risorse affinchè possano crescere (limitandone più o meno i danni), ma soprattutto, limitano la propria presenza autoritaria e dall'alto. 

Trump fa ciò che è meglio per loro, il neoliberismo, si prende cura del capitale e lo sa fare, spiana la strada, rimuove gli ostacoli senza diventarne il controllore, anzi di fatto limitando il più possibile la propria presenza e limitandola ad una sorta di aquila protettrice esterna.
Basti pensare all'oleodotto in Dakota, ma anche alla riduzione delle tasse, dei limiti ambientali.
Possiamo, da europei, da interessati al sociale, ambientalisti, femministi ecc... disgustarci e guardare a Trump come a un nemico di cui evitare ogni comportamento, oppure possiamo scendere dalla nostra montagna di giustizia e capire che andrebbe studiato.

Paradossalmente infatti, l'Italia, uno di quei paesi che si impegnano nel cercare di arginare le problematiche sociali, non ha lo stesso tipo di atteggiamento con i soggetti da proteggere.

Un truck della polizia postale in mezzo a una città, con tanto di spiegamento di fondi, forze e investimenti, può essere utile forse per i genitori delle vittime, se questi ne hanno parlato in casa, ma non è uno strumento capacitativo della società per autoprodurre il comportamento che serve ad arginare il bullismo.
Difficile pensare di arginare un fenomeno così diffuso e invisibile eppure così sotto gli occhi di tutti, attraverso una manovra esterna, fisica e dall'alto.

In giorni di dichiarazioni di sgomberi di spazi sociali, di istituzionalizzazione della vita pubblica attraverso bandi e convenzioni alle associazioni, di pessime campagne di comunicazione promosse dallo Stato (come il fertility day), e al contempo di comportamenti sempre più irrazionali, spaventati e cinici da parte della popolazione verso le sacche di disperati che arrivano in Italia o le donne, è evidente che si stia creando una forte disparità tra ciò che lo Stato cerca di ottenere e quello che effettivamente ottiene quando si tratta di sociale.

Lo Stato italiano e i comuni fanno programmi di intervento sui nuovi fenomeni spesso privi di aderenza con la realtà, sono statici, autoritari, limitati nel tempo, tipicamente legati all'istituzione, cioè arriva un'ente, ti dice cosa è giusto e cosa è sbagliato, e se ne va. 
Questo senza contare l'inutile spreco di soldi che si investe. 
Peggio ancora, elimina più o meno indirettamente tutte quelle realtà che si occupano dei fenomeni sociali ogni giorno, associazioni, attività e partecipazioni spontanee che si occupano di socialità, cultura, partecipazione sociale ed equità.

Le rimuove lasciandole alle intemperie del mercato, alla guerra ai bandi, ma come troviamo anche nel libro di Giovanni Moro "Contro il non profit" (un titolo molto fuorviante rispetto al suo vero intento) le associazioni, i gruppi spontanei, i comitati di quartiere, i collettivi, i centri sociali che ne sono più penalizzati sono proprio quelli che si occupano di diritti e non di servizi quantificabili, oppure che non producono posti di lavoro e redditi monetari, si entra nel paradosso assurdo per cui le organizzazioni che davvero promuovono attività e advocacy non a scopo di lucro non sono abbastanza lucrativi da sopravvivere. I comuni attualmente si comportano come mecenati di associazioni, il problema è che se tutto risponde a un organismo specifico, tutto si appiattisce al gusto di quest'ultimo, in questo caso dell'istituzione. Appunto come quando il mecenate principale era la Chiesa, della storia artistica ci restano tantissime Madonne con Bambino, tutte diverse, ma senza molto altro.
Molte tematiche possono poi non piacere alle istituzioni che si devono fare garanti (e che quindi in qualche modo mettono la faccia) perchè incomprese o impopolari, o avanti per l'epoca, dannose per l'immagine elettorale e così via.
Prendiamo la coscienza sulle droghe attuali, l'omosessualità una ventina di anni fa.

Poi altri sono i problemi, dipende anche dalla tendenza politica dell'istituzione locale, dai suoi ideali politici (un esempio specifico è l'aborto con Trump, in uno stato in cui la fascia più povera dipende oltretutto in modo esagerato dalle associazioni sanitarie non profit, non finanziare quelle che supportano nella scelta di abortire significa di fatto, togliere a molta parte della popolazione una possibilità concreta e favorire il rischio di salute).
Dipende poi anche dagli obiettivi sul territorio, come i piani edilizi, gli incentivi alle imprese, di fatto la sopravvivenza delle organizzazioni più o meno ufficiali dipende da quanto queste sono in linea con gli obiettivi comunali, senza nessuna garanzia e che oltretutto possono essere completamente diversi di giunta in giunta, non permettendo nemmeno la pianificazione a lungo termine richiesta da un sistema che si basa sull'integrarsi nel o addirittura il creare un tessuto sociale.

Lo Stato quando si occupa superficialmente di questioni che osserva da fuori e che cerca di migliorare entrando in azione "come istituzione", il più delle volte attua quasi esclusivamente la cosiddetta sensibilizzazione (non solo lui, se volete ho scritto un altro post in merito), e poco più, i fondi non ci sono, si passa ad altro.

Soprattutto, quello in cui manca, è supportare le capacità umane della cittadinanza. Combattere il bullismo dall'alto, è una battaglia persa, lo capisce anche un bambino che non ci sono i numeri e le forze sono al massimo della disparità tra controllo e potenziali bulli.
Lo stato non potrà mai controllare il bullismo online senza distruggere qualsiasi privacy, sarebbe come controllare le conversazioni di ognuno di noi, sempre, e non può sicuramente fare educazione con una serie di diapositive su quanto sia brutto il bullismo una volta l'anno considerando la complessità del fenomeno e la sua totale integrazione nella quotidianità.

Le persone poi, i ragazzi, non sono stupidi, sanno benissimo che il bullismo fa male, è ovvio che lo sappiano, così come i fumatori sanno che il fumo fa male, gli alcolisti che l'alcol fa male e così via, eppure ancora ci troviamo le immagini di uomini nudi e tristi con scritte sull'impotenza sui pacchetti di sigarette e tabacco.

Il settore pubblico scende dall'alto ed è evidente che non abbia ne gli strumenti ne le forze per contrastare il bullismo giovanile, soprattutto online perchè è un fenomeno umano capillare, non si può bloccarlo dall'esterno con una manovra mediaticamente visibile, bensì è necessario arginarlo dall'interno come il sistema immunitario di un organismo.

Significa che un Comune, ad esempio, dovrebbe prendersi cura di cosa avviene sul suo territorio limitando ciò che può stimolare dei comportamenti negativi, in primis nella parte che può controllare, ossia imprese, authority e se stesso. Quali comportamenti favoriscono le imprese sul territorio? I loro prodotti? A prescindere da quanti soldi portino in città, quanto ha senso eliminare dal centro storico i centri sociali, considerati antiestetici e riempirli invece di negozi? Insomma il settore pubblico dovrebbe innanzitutto conoscere i fenomeni sociali, capirne i meccanismi e favorire quelle realtà che possono effettivamente arginarne le cause incrementali, parliamo di realtà che promuovono socialità e confronto, abbattimento di barriere economiche, attività sportive gratuite, interessi diversi. Dovrebbe conoscere a fondo anche queste realtà, non tramite i loro bilanci e le loro mission e favorirle, piuttosto che investire in un depliant con foto irrealistiche di persone "brutte" che fumano o bullizzano.
Ad esempio, una delle cose su cui i comuni non vanno assolutamente ne a valutare ne a misurare è la partecipazione dei cittadini, attenzione, non la fruizione di servizi, ma l'effettiva partecipazione sociale dei cittadini. Non solo quante persone vengono agli eventi ma quante persone hanno poi parte attiva nelle organizzazioni, nella creazione, nell'advocacy ecc...

Lo Stato, in passato, ha dovuto chinare il capo e accettare la sconfitta di non essere efficiente nel gestire il settore privato direttamente, a maggior ragione, dovrebbe accettare di non potersi sostituire al libero arbitrio, ne alla coscienza dei suoi abitanti, ma dovrebbe promuovere le risorse che consentano di nutrire coscienza e rispetto, partecipazione e socialità.

Non è un caso che i comuni siano sempre più attenti ad associazioni di fruizione culturale ma non alla partecipazione, è più quantificabile, è comodo e non crea problemi alle amministrazioni. Questo calo della partecipazione come valore, si rispecchia in un dato molto semplice, ed è la partecipazione alle urne sia per referendum (possiamo fare eccezione con il referendum costituzionale) e per le elezioni.

Capire questo significa non solo promuovere le realtà che si occupano di socialità e coscienza pubblica ma anche esercitare riflessività e non ammettere comportamenti politici o di stampa offensivi della persona (basti guardare Libero quotidiano o il Giornale).

Le manovre e le pubblicazioni dello Stato sul sociale, permeano ancora di quel buonismo irreale e quella dicotomia fastidiosa tipica delle pubblicità rivolte ai giovani che usano impropriamente lo slang giovanile risultando irritanti e ridicole, oltre che anacronistiche.
Non è difficile capire che il punto è che sono comunicazioni e manovre fatte da persone che non capiscono il fenomeno e probabilmente non potranno mai capirlo a fondo, apposta, deve essere chi vive il fenomeno ogni giorno, l'elemento in grado di arginarlo e ridurlo.

Abbiamo una tv basata sulla competizione, la spocchia e l'insulto ironico, o programmi e fiction fuori dal linguaggio reale, dalle situazioni e dalle problematiche, abbiamo una politica basata sui sofismi, lo scandalo e la strumentalizzazione delle tragedie e un giornalismo che puzza di disperazione da fondi pubblicitari, in pratica abbiamo un sistema politico e mediatico che supplica il mondo economico di fondi per sopravvivere e vincere, strizzando l'occhio alla dicotomia perdente/vincente e conseguenti comportamenti che si porta dietro.

Difficile pensare che uno Stato di questo tipo possa davvero arginare fenomeni di cyberbullismo nei giovani, nel loro mondo pubblico/privato quando di fatto non riesce a vedere il fenomeno nemmeno su se stesso.

Gli imprenditori e i neoliberisti in generale, sono bravi in quello che fanno, come Trump, sono coerenti, il settore pubblico sul sociale invece non lo è, in questo dovrebbe decisamente impara dai migliori dei peggiori.

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